22 settembre 2023
Aggiornato 06:30
Dopo i negoziati con Ankara per la gestione della crisi migratoria

Se con i profughi Erdogan tiene sotto ricatto l'Europa

Da quando l'Europa ha capito che la Turchia le sarebbe stata fondamentale per gestire la crisi migratoria, Erdogan ha realizzato di avere il coltello dalla parte del manico: e nessun impegno di Ankara sarà gratuito, soprattutto ora che più che mai imperversa la crisi siriana

BRUXELLES – Era dal 2011, quando cancellò improvvisamente il suo viaggio in Europa, che il presidente turco Tayyp Recep Erdogan non approdava nel Vecchio Continente. Eppure, la sua visita di domenica scorsa, per la due giorni di incontri con i leader europei, era particolarmente attesa. Perché, con un flusso di profughi da fronteggiare senza precedenti, la crescente minaccia dello Stato islamico, l’inasprirsi della crisi siriana e l’intervento russo, mai come oggi il controverso presidente della Turchia è assolutamente necessario all’Europa. Lontani, i tempi in cui era l’Occidente ad opporre una spocchiosa freddezza di fronte ai tentativi di avvicinamento all’Ue di Ankara, per le sue tendenze autoritarie, la sua simpatia per politiche neo-islamiste e la sua perplessità nell’accettare l’inquadramento di Washington e della Nato. Oggi, sembra proprio che la situazione si sia rovesciata.

La ruota che gira
Un rovesciamento preannunciato di fatto dal viaggio in Turchia di David Cameron dello scorso dicembre, in cui il primo ministro inglese chiese ad Erdogan un aiuto per controllare i flussi di cittadini britannici e foreign fighters intenzionati ad unirsi all’Isis in Medio Oriente. Allora, l’emergenza migratoria non era ancora scoppiata, ma oggi, a maggior ragione, gli europei sembrano aver più che mai bisogno dell’«aspirante sultano». Durante la visita a Bruxelles, Erdogan ha infatti trattato con i leader Ue un accordo in base al quale Ankara accetterebbe di diventare un «centro di detenzione» europeo per i profughi, collaborando attivamente per alleviare il flusso verso il Vecchio Continente. La Turchia, nel negoziato, si trova in una decisiva posizione di forza, e può rivendicare una certa autorità morale sulla questione: perché il Paese «ponte» tra l’Occidente e l’Oriente, con i suoi 75 milioni di abitanti, ha aperto le porte in questi anni a ben 10 volte il numero di rifugiati accolti dall’Europa (che di abitanti ne conta 510 milioni).

Erdogan ha tutto da guadagnarci
Ma la posizione di forza di Erdogan deriva soprattutto dalla scarsissima forza contrattuale dei leader europei: sono loro, in questo ambiguo gioco con la Turchia, ad aver tutto da perdere. Il presidente turco, invece, da questa storia ha solo da guadagnare, specialmente in vista delle elezioni del primo novembre, in cui si gioca, per la seconda volta in pochi mesi, il sogno della riforma super-presidenziale del Paese. Ma, al di là dei vantaggi d’immagine e dunque elettorali che può ricavarne, è certo che la disponibilità di Erdogan avrà per l’Unione un prezzo. Soprattutto ora che la crisi siriana è giunta a un punto di non ritorno.

Europa tra Mosca e Ankara
Innanzitutto Erdogan, forte nemico del regime di Assad, non vede di buon occhio l’intervento russo in una regione che, a suo avviso, non dovrebbe essere di sua pertinenza. E l’«incidente» della violazione dello spazio aereo turco da parte di aerei militari russi rinforza una delle posizioni su cui Ankara difficilmente è disposta a retrocedere: la creazione di una no-fly zone nel nord della Siria, per cui Erdogan ha esplicitamente chiesto il supporto degli Stati europei. Tale zona di sicurezza è da tempo il centro della strategia turca, e ha due obiettivi (pur non dichiarati) molto concreti: garantire le linee di rifornimento ai gruppi jihadisti sostenuti da Ankara – tra cui molti sospettano che ci sia anche lo Stato islamico –, e impedire che le milizie curde siriane dell’Ypg avanzino da est fino alle enclavi curde a nord di Aleppo, prendendo il controllo di tutto il confine turcosiriano. Con l’intervento russo in Siria, poi, la situazione si complica. Affermando chiaramente che non ha intenzione di rispettare la no-fly zone turca, la Russia ha avvertito sia Ankara sia i paesi occidentali che per difendere la «zona sicura» dovranno prepararsi a rischiare uno scontro diretto. Insomma: l’Europa si trova letteralmente tra due fuochi, Mosca da un lato e Ankara dall’altro, e qualunque decisione prenda sarà non priva di conseguenze.

I desideri del «sultano»
Ma la «lista dei desideri» di Erdogan non si ferma affatto qui. Il presidente turco mira anche ad allentare il biasimo occidentale per alcune politiche attuate da Ankara, prima fra tutte la scure sulla libertà di stampa fatta calare sul Paese. Oltretutto, l’aspirante «sultano» vorrebbe ottenere un implicito endorsement degli europei rispetto al voto del primo novembre, e, di conseguenza, in merito alle sue ambizioni superpresidenziali. L’unico punto su cui, c’è da scommetterci, Erdogan non è più particolarmente interessato a negoziare è l’entrata della Turchia nell’Ue, un obiettivo per anni fortemente osteggiato, in primis, da Francia e Germania. Come si diceva all’inizio, la ruota gira. Oggi, tra Turchia ed Europa, ad avere il coltello dalla parte del manico non è di certo quest’ultima.