24 aprile 2024
Aggiornato 04:00
Il tempo è scaduto

Libia, ecco perché è arrivato il momento che Renzi si decida

Come per la Siria, anche il conflitto in Libia è giunto a un punto di svolta: punto in cui il governo italiano deve prendere una decisione, se vuole evitare le classiche pessime figure che ci contraddistinguono in campo internazionale.

TRIPOLI – Se il conflitto in Siria sembra essere giunto a un punto di svolta, grazie a un sempre più intenso lavorio diplomatico, alla discesa in campo della Russia e a una possibile decisione di Washington, anche in Libia la situazione pare prossima a sbloccarsi. Il silenzio delle prime pagine italiane è assordante, e anche paradossale, vista l’ambizione di Roma a guidare un’eventuale missione. Eppure, la verità potrebbe essere molto più banale di ciò che si pensa: il governo Renzi, ad oggi, ancora non ha deciso cosa fare. Ma sembra non rimanere più molto tempo.

L’incertezza italiana
Il moderato disinteresse della comunità internazionale per quel fronte di crisi, dove nessuno sembra volersi impegnare a mandare velivoli e consiglieri militari, dipende dal fatto che, per lungo tempo, quel caos ha determinato danni concreti solo alle nazioni limitrofe (Italia, Egitto, Tunisia, Algeria e paesi del Sahel). In più, continuano a mancare prospettive e alleanze su cui basare un intervento. Ancora più grave, dunque, il fatto che Roma non sappia che pesci pigliare, visto che da un lato è tra i pochi Paesi direttamente interessati dall’andamento del conflitto, dall’altro si è offerta da mesi di guidare una missione di peacekeeping varata dalle Nazioni Unite, ma per ora esclusa dal Consiglio di Sicurezza. Eppure, proprio per le ultime novità dal fronte, è arrivato il tempo, per il governo, di decidere.

L’accordo definitivo
Qualche giorno fa, infatti, l’inviato speciale dell’Onu Bernardino Leon ha consegnato il testo «definitivo» dell’accordo alle parti, che dovranno accettarlo o rigettarlo a breve. L’intesa dovrebbe mettere in moto il meccanismo per un cessate il fuoco. Nelle prossime settimane, le varie fazioni dovranno concordare  i nomi del nuovo governo di unità nazionale. Termine ultimo è, ad oggi, il 20 ottobre, data in cui scadrebbe la legislatura libica, che andrà quindi rinnovata con l’accordo per non creare un vuoto di potere. Inoltre, il 28 settembre, l’assemblea generale Onu entrerà nel vivo: a quell’appuntamento, sarebbe opportuno presentarsi perlomeno con una visione, che permetta di evitare pasticci come quello del 2011.

Tutte le pedine del caos
Anche perché il caos libico è ancora più complicato di come viene descritto. Non è solo una lotta tra gli islamisti di Tripoli e il governo legittimo di Tobruk, ognuno con il suo governo e il suo parlamento. A questo quadro si aggiunga che nessuno dei due esecutivi governa realmente, e che la città di Misurata è da tempo un soggetto autonomo, che combatte Tobruk come redivivo regime gheddafiano, discostandosi però dall’intransigenza di Tripoli. Poi c’è il «Fronte della fermezza», alleanza tra i «duri» di Tripoli e di Misurata che riescono a ritagliarsi una certa influenza sul parlamento della capitale, specialmente grazie a pressioni militari. Pressioni che non mancano neppure sul versante di Tobruk, in particolare da parte del generale Khalifa Heftar, che mira a scongiurare l’accordo per guadagnarsi il posto di capo di un Consiglio supremo delle Forze armate libico. Infine c’è lo Stato islamico, proprio quello che ci lancia minacce dall’altra sponda del Mediterraneo e che controlla una vasta area al centro del Paese, da dove può potenzialmente spezzare la Libia in due. Oltre al controllo del territorio, la posta in gioco per le parti in causa è alta: si parla anche delle istituzioni e dei luoghi della produzione di gas e petrolio. Parallelamente, europei e statunitensi stanno combattendo contro la creazione di una società petrolifera nell’est della Libia, che servirebbe a finanziare Tobruk e sarebbe la pietra tombale su ogni necessità di un accordo di unità nazionale.

Per l’Italia è ora di decidere
A questo punto, le domande a cui il governo italiano deve rispondere sono tante, e gli alleati si attendono che lo faccia presto. Ben le sintetizza Limes: «Dispiegheremo il nostro contingente anche in caso di ambiente parzialmente ostile? In che rapporto saremo con le forze libiche esistenti? Quale sarà esattamente il ruolo della missione?». Perché, se prevarrà lo status quo, (oltre a dimostrare ancora una volta la nostra inadeguatezza a livello internazionale), andrà tutto in tasca allo Stato islamico. E noi, presto o tardi, ne pagheremo le conseguenze.