Quando fu la Grecia (e il resto d’Europa) a salvare la Germania
Nel lontano 1953, a una Germania distrutta dalla guerra, l'Europa (compresa la Grecia) decise di tagliare più della metà del suo debito, e approvò una serie di misure che hanno consentito a Berlino non solo di riprendersi, ma di diventare la colonna del Continente. Alla Germania sì e alla Grecia no?
ATENE – Rinegoziare gli impegni presi con le istituzioni europee, e tagliare il debito pubblico per far ripartire il Paese. No, non stiamo parlando della Grecia: stiamo parlando della Germania. Due anni fa, mentre Atene sforbiciava a più non posso per rimanere nei ferrei limiti imposti dall’austerity europea, Alexis Tsipras, leader di Syriza e futuro premier, scriveva su Le Monde Diplomatique la sua ricetta per uscire dalla crisi. Una ricetta che assomigliava pericolosamente a quella applicata dall’Europa alla Germania uscita distrutta dalla guerra.
Amputazione del debito tedesco
«Febbraio 1953. La Repubblica federale di Germania minaccia di trascinare tutti i Paesi europei nella crisi. Preoccupati di salvarla, i suoi creditori – tra cui la Grecia – prendono atto di un fenomeno che sorprende i liberali: la politica di ‘svalutazione interna’, vale a dire di riduzione dei salari, non avrebbe garantito la restituzione delle somme dovute, semmai il contrario», scriveva Tsipras. Il riferimento è alla Conferenza di Londra, che culminò nel cosiddetto «London Debt Agreement». Un accordo partorito dopo sei mesi di lunghi negoziati, culminato, nonostante le perplessità di alcuni Stati come la stessa Grecia, in un’amputazione del debito tedesco di circa il 60%, una moratoria di cinque anni e un trentennio per ripagare le somme dovute. Per Tsipras, questo fu uno dei pochi «momenti di chiaroveggenza» che l’Europa abbia mai avuto, proprio all’indomani della guerra.
Chiaroveggenza trasformata in cecità
Una chiaroveggenza che, sessant’anni dopo, il Vecchio Continente sembra aver perduto, obbligando i contribuenti a riempire delle proprie lacrime il «pozzo senza fondo» creato da debiti e relativi programmi di salvataggio. «Pervenire a una soluzione globale, collettiva e definitiva del problema del debito non è mai stato urgente come ora», scriveva il futuro premier. Ma, sosteneva, tale obiettivo non andava di pari passo con la rielezione, a Cancelliere di Germania, di Angela Merkel, sotto la cui leadership europea difficilmente sarebbe passata la sua proposta: una nuova conferenza sul debito sul modello del ’53, una significativa riduzione del debito pubblico, una moratoria per consentire la crescita, una clausola di sviluppo, una ricapitalizzazione delle banche indipendente dal debito pubblico. Di pari passo, Tsipras prometteva un considerevole cambio di passo sulla corruzione, sull’evasione fiscale, sul lavoro e sull’efficienza che – bisogna ammetterlo – la Germania ha saputo dimostrare nel tempo a differenza della zoppicante Grecia.
Un nuovo ’53 è possibile?
A due anni di distanza, sappiamo com’è andata. Tsipras, da premier, indice un referendum «di rottura» sulle proposte dei creditori, e Juncker urla al mondo di sentirsi «tradito». Quel 1953 pare una data relegata sui libri di storia. Difficile pensare, oggi, a una Germania con 23 miliardi di dollari di debito, pari al 100% del suo Pil, che lotta per rinegoziarlo a suo vantaggio. Eppure è accaduto: e l’ultimo versamento da 69,9 milioni di euro è stato versato nel 2010, perché una clausola del trattato del ’53 consentiva a Berlino di posticipare una parte dei pagamenti a dopo la riunificazione. Non solo: secondo alcuni esperti, il «London Debt Agreement» sarebbe alla base – grazie alla sua clausola di sviluppo - del miracolo economico teutonico e della sua leadership nel settore delle esportazioni. L’accordo consentiva infatti al Paese di destinare al pagamento del debito non più di un ventesimo del suo «reddito da esportazione». La domanda sorge spontanea: perché alla Germania sì, e alla Grecia no?
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