31 luglio 2025
Aggiornato 01:00
Parla Riccardo Alcaro dell'Istituto Affari Internazionali

L'esperto: ecco la verità sul Ttip tra USA e UE

Il Ttip, l'accordo di partenariato transatlantico tra Usa e Ue, è stato definito come il più grande risultato dell'amministrazione Obama - qualora venga raggiunto -, ma è stato anche bersagliato da molte critiche. Riccardo Alcaro, responsabile di ricerca dello IAI, ci spiega quali sono i vantaggi e quali i rischi del trattato.

ROMA – Da mesi, ormai, è uno dei temi «caldi» della politica estera europea. Il Ttip, il partenariato transatlantico su commercio ed investimenti tra Usa e Ue, divide l’opinione pubblica, tra i sostenitori del «libero scambio» e dell’armonizzazione di standard e regolamenti al di qua e al di là dell’Atlantico, e chi sostiene che i soli a giovarne saranno i grandi gruppi statunitensi. Ma che cosa comporterà davvero l’accordo? Per mettere un po’ di chiarezza, abbiamo intervistato Riccardo Alcaro, responsabile di ricerca esperto in Rapporti Transatlantici dell’Istituto Affari Internazionali.

Innanzitutto, la terminologia. E’ corretto parlare, per il Ttip, di «libero scambio»? Può spiegare ai nostri lettori di che cosa si tratta?
«E’ corretto, perché una parte dell’accordo riguarda l’abolizione delle tariffe e delle barriere non tariffarie: questo solitamente basta a definire un accordo "di libero scambio». Tuttavia, pur essendo corretto, non è sufficiente, perché il cosiddetto Ttip riguarda anche altri aspetti delle relazioni economiche tra Usa e Ue, in particolar modo l’accesso alle commesse pubbliche: si vuole cioè facilitare, alle aziende americane ed europee, l’accesso a fondi pubblici, qualora autorità pubbliche dell’una o dell’altra parte dell’Atlantico facciano delle gare. Altro punto, la facilitazione dell’investimento diretto tra le due parti, e ulteriore elemento – forse il più importante di tutti –, la progressiva armonizzazione degli standard e delle misure regolamentari. L’idea è quello di farli convergere, in modo da avere un risparmio di costi».

Qualche giorno fa, i democratici hanno bloccato Obama proprio su Ttip e Tpp, provocando, si è detto, la più grave crisi politica tra un presidente democratico e la base del suo partito da molti anni a questa parte. Come interpreta la vicenda e cosa accadrà, a suo avviso?
«Non sarei così enfatico nel commentare la vicenda. Senz’altro, Obama non ha saputo coltivare un sufficiente consenso presso i democratici, storicamente più ostili verso il libero commercio dei repubblicani perché ritengono che tali accordi abbiano leso gli interessi dei lavoratori organizzati nei sindacati, e abbiano prodotto un abbassamento degli standard sociali sul lavoro e in alcuni casi anche ambientali. La questione specifica era questa: il Senato doveva votare se interrompere la discussione su uno strumento legislativo chiamato «Trade Promotion Authority», che consente al Presidente degli Stati Uniti di negoziare un accordo economico e di presentarlo al Congresso o al Senato in blocco: il Congresso si trova di fronte un accordo a cui dire ‘sì’ o ‘no’, ma di cui non può discutere le parti. In Senato, si stava discutendo se interrompere o meno il dibattito e passare direttamente a un voto sulla possibilità di dare tale autorità ad Obama. Per questo, non enfatizzerei la questione. Ma certamente, Obama ha una strada in salita, e non si è fatto un favore inimicandosi alcuni elementi chiave in Senato, come la senatrice Elizabeth Warren, assurta ad alfiere della causa progressista».

Quali saranno le conseguenze concrete, per l’Europa, del Ttip? I suoi detrattori parlano di un abbassamento degli stipendi europei, equiparati al ribasso a quelli statunitensi. Si parla anche di conseguenze negative in alcuni settori, come l'agricoltura.
«Non c’è nessun accordo oggi. Finché non si avrà un testo, è difficile fare valutazioni. Si possono però avanzare plausibili analisi di alcuni rischi. Certamente, un accordo di così vasta portata è destinato a sollevare un vespaio di polemiche. Alcune delle preoccupazioni che stanno dietro alle critiche sono assolutamente legittime. Ma, non essendoci ancora un testo, non è detto che abbiano motivo di essere. I salari americani per esempio, non sono necessariamente più bassi di quelli europei, anche perché l’Ue è molto diversificata. In ogni caso, non credo che questo rischio sia reale. Piuttosto, ci sono altri rischi specifici, come per l’agricoltura, questione in grado di catalizzare l’opinione pubblica e attirare un certo consenso organizzato. L’agricoltura europea è molto difesa: le tariffe tra Usa-Ue sono abbastanza basse, ma sui prodotti agricoli crescono. In più, l’Europa ha messo al bando quasi completamente gli Ogm, che invece dominano i mercati americani. Qui c’è una legittima preoccupazione da parte delle lobby agricole europee. Penso ci siano modi di aggirare questa difficoltà, di certo non facili. Ma la parte dell’agricoltura è piccola nell’accordo. Nel settore automobilistico, ad esempio, armonizzare gli standard produttivi produrrebbe un abbattimento considerevole dei costi; idem per il mercato farmaceutico».

Qual è il valore geopolitico del Ttip?
«Il Ttip ha fondamentalmente un valore geopolitico: è un modo, per Americani ed Europei, di mettersi insieme, e scrivere almeno in parte le regole del loro mercato. Il trattato potrebbe produrre degli standard concordati a livello americano ed europeo, che di fatto diventerebbero, data l’enorme capacità attrattiva di tale mercato, standard globali. In questo senso, il Ttip è uno strumento per l’Europa per acquisire maggiore influenza nella determinazione degli standard globali. Se gli Europei non lo faranno con gli Americani, gli Americani lo faranno con qualcun altro. Gli Usa stanno ora negoziando il Trattato Trans-Pacifico, con una serie di Stati dell’area del Pacifico, esclusa la Cina. Se il Ttip non produce alcun risultato, gli Americani punteranno a definire i loro standard più con gli Stati dell’Asia che con quelli dell’Ue. E questo potrebbe produrre un’erosione degli standard sociali e ambientali molto alti che alcuni Europei, oggi, pensano di difendere opponendosi al Ttip».

Qualche mese fa, Putin aveva provocatoriamente proposto all’Europa di stringere un accordo con la Russia, anziché concludere il trattato con gli Usa. Che ne pensa di una strategia di questo tipo?
«Quale obiettivo gli Europei possono pensare di raggiungere facendo un mercato unico con la Russia, in alternativa agli Stati Uniti? Da una parte l’economia più grande del mondo, dall’altra parte la decima. Da una parte un’economia molto diversificata e varia, dall’altra un’economia di Stato a conduzione autoritaria, fondata sostanzialmente sull’esportazione di materie prime, con una capacità di assorbire le esportazioni europee infinitamente più limitata di quella americana. In termini di valore geopolitico, è vero che legare di più la Russia all’Ue comporterebbe un incentivo a contenere i rischi di conflitto geopolitico. Quindi, fare la scelta di legarsi alla Russia maggiormente sul piano economico non è sbagliato; ma se questa scelta è presentata in alternativa, o come alternativa vincente, rispetto a quella di legarsi agli Usa, allora sì, è un errore».

«Il vero intento di queste disposizioni è quello di impedire la salute, le politiche ambientali, la sicurezza e, sì, anche i regolamenti finanziari con lo scopo di proteggere l'economia e i cittadini degli Stati Uniti». Queste, le parole del premio Nobel Joseph Stiglitz. Le condivide?
«Stiglitz se l’è presa con una delle misure più controverse. Si tratta di uno strumento giuridico, l’«Investor State Dispute Settlement», meccanismo che gli Usa e l’Europa si sono inventati anni fa, per premunirsi quando facevano accordi di investimento con Stati politicamente instabili. Tale dispositivo proteggeva dalla possibilità che un cambio di governo potesse portare alla nazionalizzazione improvvisa, d’imperio, di alcuni asset nazionali in cui una compagnia europea o americana avessero investito. Tuttavia, questo meccanismo ha avuto effetti perversi, come nel caso della Philip Morris, che ha portato in tribunale i governi di Australia e Uruguay perché ha considerato alcune misure di prevenzione riguardo alla pericolosità del fumo «discriminatorie». Il mio suggerimento personale, data la tutela rappresentata dalle corti europee e americane chiamate a decidere su casi simili, è che si può ragionare sul fatto di poter eliminare la norma. Con questo, le parole di Stiglitz sono molto forti: io non le condivido. Condivido le preoccupazioni legittime che si nascondono dietro a accuse tanto feroci. E penso che si possa andare incontro a chi esprime tali preoccupazioni, senza necessariamente dover rinunciare all’accordo. Per influenzare il negoziatore, interesse strategico degli Europei non è di mettersi di traverso, ma fare pressioni perché si arrivi al miglior accordo possibile».