Al G20 australiano molte domande ma poche risposte
Il summit dei leader dei paesi del G20 si terrà il 15 e 16 novembre nella città australiana di Brisbane. Stando agli esperti, le questioni acute che vi saranno sollevate rimarranno di nuovo senza risposte intelligibili.
BRISBANE - Il summit dei leader dei paesi del G20 si terrà il 15 e 16 novembre nella città australiana di Brisbane. Stando agli esperti, le questioni acute che vi saranno sollevate rimarranno di nuovo senza risposte intelligibili.
I leader del G20 si incontreranno in un ambiente informale per discutere l’attuale situazione nell’economia mondiale, gli esistenti rischi e minacce nonché le possibilità per superarli. Malgrado il carattere consultativo delle sue decisioni il G20 è molto influente nell’arena internazionale. I paesi membri di questa organizzazione, di cui fa parte anche la Russia, forniscono in complesso oltre l’80 del PIL mondiale. Ma, a quanto risulta, nemmeno il grado di influenza senza precedenti sui processi su scala planetaria può contribuire alla ricerca efficace della strategia capace di far uscire dalla crisi sistemica in questo momento di svolta nella vita del mondo unipolare.
Gli esperti sottolineato che il summit australiano si svolgerà sullo sfondo di una grande instabilità geopolitica ed economica. All’inizio di quest’anno è scoppiato il conflitto armato nel sud-est dell’Ucraina e l’Europa, per la prima volta in molti anni, è venuta a trovarsi quasi in prima linea di una guerra civile. Nel 2014 è continuata la guerra a tutto campo in Iraq e in Siria, in seguito alla quale è apparso l’autoproclamato «Stato islamico dell’Iraq e del Levante», non cessano i disordini in Libra e si verifica una scalata della tensione nei rapporti arabo-israeliani.
Intanto in Europa, malgrado l’ottimismo dei politici, continua la stagnazione. Nel secondo trimestre del 2014 nelle economie della Germania e dell’Italia, che sono le principali locomotive di sviluppo del Vecchio Continente, è stata di nuovo registrata la recessione. Non è di molto migliore la situazione in Francia. Questo ed altri fattori hanno portato ad un drastico calo dei prezzi del petrolio: il prezzo di un barile di petrolio Brent è sceso fino a 80 dollari, uno dei peggiori indici a partire dal 2009.
La comunità mondiale deve mettere a punto una road map per far uscire da tale situazione, che forse porta a qualcuno vantaggi geopolitici a breve termine ma che in una prospettiva di lungo periodo è foriera di conseguenze catastrofiche per tutti senza eccezione alcuna. Una delle questioni urgenti è la riforma del Fondo monetario internazionale, retaggio del sistema di Bretton Woods creato nel dopoguerra. Le decisione dell’FMI sono politicizzate e sono subordinate in primo luogo all’élite politica degli Stati Uniti. Pertanto proprio Washington blocca da tempo in ogni modo le riforme diventate necessarie, dice Mikhail Khazin, presidente della compagnia di consulenza Neocon:
- Nel 2010 è nata l’idea di creare un analogo della Riserva federale degli USA, non nazionale ma mondiale. Questa idea ha avuto il nome di ‘Banca centrale delle Banche centrali’. È stata largamente discussa nell’ambito del G8 e del G20. Ed è stato già deciso che questa Banca centrale delle Banche centrali sarebbe stata istituita sulla base dell’FMI. La realizzazione di questa idea avrebbe stabilizzato il sistema bancario internazionale, ma gli Stati Uniti d’America avrebbero perso il monopolio dell’emissione della valuta mondiale. Di conseguenza, gli USA hanno lasciato l’FMI e la Banca mondiale sotto il proprio controllo. Se in precedenza Washington ha usato questi istituti per aumentare l’espansione del dollaro, adesso usa l’FMI per garantire la stabilità delle proprie finanze ad onta del sistema finanziario mondiale.
Il dilemma principale è se salvare l’economia mondiale a scapito degli interessi degli USA o aiutare l’economia americana a scapito della stabilità mondiale. Nonostante l’apparente ovvietà la risposta a questa domanda, purtroppo, difficilmente può essere trovata oggi, sostiene l’economista Viktor Efimov:
-Al G20 già innumerevoli volte sono stati intrapresi dei tentativi di modificare in qualche modo l’attuale sistema dominante. A mio parere, in questo formato difficilmente si riuscirà ad apportare cambiamenti sostanziali, mentre sono proprio questi che potrebbero salvare la situazione. Le riparazioni solo di facciata non aiuteranno. Pertanto sono a favore di un nuovo formato, vicino a quello di BRICS.
È ovvio che la via d’uscita dalla crisi possa essere trovata solo tenendo conto delle esigenze di tutti i giocatori, anziché di uno Stato concreto. In questo caso le prospettive di formazione di un nuovo sviluppo senza crisi dell’umanità dovranno divenire meno vaghe.
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