19 aprile 2024
Aggiornato 03:30
Oggi Brahimi all'ONU

Siria, centinaia di stranieri combattono al fianco dei ribelli

Alcuni di questi combattenti sono idealisti spinti da una idea romantica di rivoluzione o dall'odio per Assad. Altri sono veterani di guerra provenienti dall'Iraq, dallo Yemen o dall'Afghansitan. Intanto secondo i ribelli il regime siriano perde sempre più terreno nel conflitto armato

DAMASCO - Centinaia di stranieri si trovano in Siria per combattere insieme ai ribelli contro il regime di Bashar al Assad. Come scrive oggi il Guardian, alcuni di questi combattenti sono idealisti spinti da una idea romantica di rivoluzione o dall'odio per Assad. Altri sono veterani di guerra provenienti dall'Iraq, dallo Yemen o dall'Afghansitan.
I miliziani stranieri riescono a entrare facilmente in Siria attraverso la piccola città siriana di Atmeh. In questa località vengono accolti da un siriano che provvede ad organizzarli in unità combattenti. Ogni squadra viene assegnato a un uomo che parla in arabo e viene sottoposta a un addestramento di dieci giorni. I miliziani vengono poi dispersi tra le varie organizzazioni combattenti, incluse Ahrar al-Sharm ('Gli uomini liberi di Siria') e Jabhat al-Nusra ('Il fronte per l'aiuto del popolo del Levante').

Il regime perde terreno, Brahimi all'ONU - Il regime siriano perde sempre più terreno nel conflitto armato in Siria: è quanto dichiarato da un capo degli insorti, alla viglia di un intervento davanti al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del mediatore Lakhdar Brahimi, rientrato da una prima missione a Damasco.
Anche se equipaggiati scarsamente in confronto alla potenza delle truppe del presidente Bashar al Assad, gli insorti, cercano, malgrado i bombardamenti incessanti sulle loro roccaforti, di estendere la zona sotto il loro controllo, in particolare nel nord-ovest del paese.

Il conflitto ha già provocato 29mila morti dal marzo 2011, secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani, ma gli insorti sono decisi a battersi fino in fondo: «Controlliamo la maggior parte del paese. Nella maggior parte delle regioni, i soldati sono prigionieri nelle loro caserme, escono poco e possiamo muoverci liberamente, ad eccezione di Damasco», ha dichiarato a France Presse il colonnello dei ribleli Ahmad Abdel Wahab, dal villaggio di Atmé, vicino al confine turco.

La caduta del regime è questione di mesi - «Con o senza aiuto esterno che potrebbe esserci fornito, la caduta del regime è una questione di mesi, non di anni», ha insistito il colonnello, che sostiene di comandare una brigata di 850 uomini dell'Esercito siriano libero (Fsa, Free Syrian Army).
«Se avessimo missili anti-aerei e anti-carro, potremmo rapidamente entrare in vantaggio», ha aggiunto, sottolineando che anche se i paesi stranieri non li forniranno, la vittoria è sicura: «Servirà solo più tempo, questo è tutto».
Intanto l'aviazione siriana ha bombardato oggi numerosi bastioni ribelli in tutto il paese, in particolare a Homs e Deir Ezzor, provocando il crollo di edifici, secondo quanto riferito dall'Osservatorio siriano per i diritti umani.