19 aprile 2024
Aggiornato 08:30
Crisi mediorientale

I Cristiani palestinesi pregano per stato palestinese all'ONU

In occasione delle messe domenicali nei Territori, su appello dei rappresentanti delle chiese della Terra Santa

RAMALLAH - I cristiani palestinesi hanno pregato per uno stato della Palestina alle Nazioni Unite in occasione delle messe domenicali nei Territori, su appello dei rappresentanti delle chiese della Terra Santa. L'ex patriarca latino di Gerusalemme, monsignor Michel Sabbah, il primo palestinese a essere stato nominato a questo incarico (1987-2008), ha pronunciato un'omelia nella chiesa cattolica di Nablus (nord della Cisgiordania), mentre politici e notabili palestinesi assistevano a messe nelle parrocchie della Cisgiordania, secondo fonti palestinesi.

A Ramallah, sede dell'Autorità nazionale palestinese (Anp), le principali denominazioni cristiane (cattoliche, ortodosse, anglicane, luteriane e copte) hanno diramato un comunicato congiunto che esprime il loro «sostegno agli sforzi diplomatici fatti per ottenere il riconoscimento internazionale dello stato della Palestina (...) nelle frontiere del giugno 1967 con Gerusalemme come capitale».

Il presidente palestinese Abu Mazen ha intenzione di presentare il 23 settembre la richiesta di adesione di uno stato della Palestina all'Onu perchè sia sottoposta al Consiglio di sicurezza, un'opzione contrastata da Israele e Stati Uniti. I palestinesi chiedono uno stato sulle frontiere del 4 giugno 1967, ossia la Cisgiordania, la striscia di Gaza e Gerusalemme Est come capitale del loro Stato. In un comunicato, martedì, le chiese cristiane di Gerusalemme avevano invitato «a intensificare le preghiere e gli sforzi diplomatici» con l'avvicinarsi dell'iniziativa palestinese all'Onu. Ribadendo i principi ai quali sono dedite, queste chiese avevano ritenuto che «la soluzione di due stati servisse la giustizia e la pace» e che il negoziato fosse «il miglior mezzo per risolvere i problemi non risolti tra le due parti». Ha esortato palestinesi e israeliani a dare prova di moderazione, indipendentemente dal risultato alle Nazioni Unite.