26 aprile 2024
Aggiornato 00:30
La Sentenza

Tangenti Saipem: nessun valido riscontro su coinvolgimento Scaroni

È questo il passaggio centrale dell'assoluzione dell'ex numero uno di Eni nell'inchiesta sulle presunte tangenti pagate da manager di Eni e Saipem a ex componenti del governo algerino, per lo sfruttamento di giacimenti petroliferi

Paolo Scaroni, ex numero uno di ENI
Paolo Scaroni, ex numero uno di ENI Foto: ANSA

MILANO - Dalle indagini condotte dalla Procura di Milano sulla presunta maxi corruzione di Saipem in Algeria non sono emerse prove sulla «consapevolezza e l'accettazione e lo sfruttamento a proprio vantaggio da parte di Scaroni di un sistema corruttivo». Lo sottolinea il gup di Milano, Alessandra Clemente, nelle motivazioni della sentenza di proscioglimento emessa il 2 ottobre scorso a carico dell'ex amministratore delegato del gruppo del «cane a 6 zampe».
Secondo i pm Fabio De Pasquale, Isidoro Palma e Giordano Baggio, Saipem avrebbe pagato una maxi tangente da 198 milioni di dollari ad alcuni politici algerini per ottenere commesse petrolifere del valore complessivo di 8 miliardi. Mazzetta che - sempre stando all'accusa - sarebbe stata versata al Ministro dell'Energia di Algeri, Chekib Khelil, attraverso l'intermediazione di Farid Noureddine Bedjaoui.
Ipotesi accusatoria accolta solo in parte dal gup Clemente, che ha rinviato per corruzione internazionale tutti gli imputati prosciogliendo dalle accuse soltanto Scaroni, il gruppo Eni (coinvolta ai sensi della legge 231 sulla responsabilità amministrativa di società per reati commessi dai propri dirigenti) e l'ex responsabile del gruppo per il Nord Africa, Antonio Vella.

Assenza di ogni prova circa l'egemonia di Scaroni su Saipem

Secondo i pm, Scaroni non poteva non essere al corrente delle condotte illecite messe in atto dai vertici di Saipem (società partecipata da Eni) in Algeria. Diverso il parere del gup Clemente, che a questo proposito parla di «assenza di ogni prova circa l'egemonia di Scaroni su Saipem», circostanza che a suo parere «mina fin dall'inizio la teoria accusatoria dell'accordo corruttivo unico».
Concetto ribadito in un altro passaggio del provvedimento. «A parere di chi scrive - sottolinea il giudice milanese - gli elementi indicati non sono sufficienti, spesso anche per la loro contradditorietà, a provare, neppure per via induttiva, che Eni e Saipem, come parti dello stesso organismo in sinergia tra loro, o quale unica entità sostanziale, sotto l'egida di Scaroni e con la collaborazione di Tali e Varone abbiano condiviso e portato a compimento un piano unitario per corrompere il Ministro algerino e ottenere vantaggi per ciascuna delle due società, affidando solo a una delle due, la Saipem, il compito di erogare i fondi». E ancora: «Neppure vi sono elementi sufficienti a provare che gli apici di Eni abbiano usufruito degli accordi illeciti in essere tra gli imputati legati a Saipem e il Ministro Khelil per raggiungere i propri obiettivi».

7 persone rinviate a giudizio

Sono in tutto 7, invece, le persone rinviate a giudizio con l'accusa di corruzione internazionale: la società Saipem, diversi suoi top manager (l'ex direttore operativo Pietro Varone, l'ex direttore finanziario Alessandro Bernini, l'ex presidente e ad Pietro Tali) il presunto collettore delle tangenti Bedjaoui e il suo braccio destro Samyr Ouraied. Per loro, il processo prenderà il via il prossimo 2 dicembre davanti i giudici della quarta sezione penale del tribunale di Milano.