19 aprile 2024
Aggiornato 15:30
Molti economisti ritengono che la redistribuzione sia la strada giusta

La ricetta per uscire dalla crisi? Ridurre le disuguaglianze socio-economiche

Le disuguaglianze economico-sociali in Italia sono molto elevate: il Belpaese si piazza al quinto posto nella classifica dei trentaquattro paesi più «disuguali» dell'Ocse

ROMA – L’Italia è marchiata da crescenti disuguaglianze che deprimono l’economia nazionale, esasperano lo scontro sociale e riducono l’efficienza del sistema paese. Per uscire dalla crisi economica che stiamo attraversando la ricetta è semplice, e converrebbe alla maggior parte degli italiani, ma nessun partito l’ha inserita nella sua agenda politica.

A parlare di «disuguaglianze» non si fa peccato
Usare oggi il termine «disuguaglianze» sembra anacronistico e fuori luogo. Perfino quei partiti che della lotta alle disuguaglianze sociali avevano fatto il loro baluardo e l’avevano inserita nel genoma del loro DNA, oggi hanno eliminato questa parola dalla loro agenda politica. Ma non si tratta affatto di rispolverare vecchie ideologie del Novecento, né tantomeno di imbarcarsi in riflessioni storico-politiche. Parlare oggi di disuguaglianze significa puntare il dito contro le falle del nostro sistema socioeconomico, perché sono queste che ci impediscono di sfruttare il nostro enorme capitale umano e determinano la maggior parte dell’inefficienza dell’economica nazionale. Abbattere la disuguaglianza nel nostro paese significa intraprendere la strada dell’efficienza, del merito e dell’eccellenza: non per una scelta ideologica, ma per seguire una precisa strategia economica, concreta e pragmatica.

La tesi di Ferragina
Questa è la tesi di Emanuele Ferragina, docente di Scienze Politiche presso l’università di Oxford e membro della Fonderia Oxford, il laboratorio politico creato dai giovani ricercatori italiani residenti all’estero. Nel suo libro, «Chi troppo Chi niente», Ferragina spiega che le disuguaglianze non sono solo un problema etico, ma anche e soprattutto economico perché determinano inefficienza nel sistema-paese. Ridurre le disuguaglianze significa migliorare la partecipazione sociale e politica, ma anche performare il mercato del lavoro e la governance nazionale. L’uguaglianza è un ottimo antidoto all’inefficienza, perché consente ai «migliori» di emergere a prescindere dalle condizioni di partenza e dalla loro appartenenza socio-economica. Per coadiuvare la crescita economica di un paese ridurre le disparità è più utile che incrementare il reddito pro-capite.

Qual è la situazione in Italia
Le disuguaglianze economico-sociali in Italia sono molto elevate, quasi imbarazzanti all’interno dello scenario europeo. Per misurarle si usa il coefficiente di Gini e, in base ad esso, il Belpaese si piazza oggi al quinto posto fra i trentaquattro paesi dell’Ocse: superata solamente dal Messico, dalla Turchia, dal Portogallo e dagli Stati Uniti. Tutti gli altri paesi europei hanno un livello di diseguaglianze economiche-sociali molto più basso rispetto all’Italia. Inoltre, il nostro paese è caratterizzato da una forte immobilità sociale: le differenze esistenti nello status socioeconomico di una generazione tendono a essere trasmesse a quella successiva. Un esempio: in Danimarca solo il 15% delle differenze di reddito esistenti tra i genitori vengono trasmesse da una generazione all’altra; in Italia questa percentuale sale al 50%. Insieme al Regno Unito, l’Italia è il paese più «immobile» d’Europa. Un triste primato che ha aggravato gli effetti della crisi economica.

Cosa si può fare per uscire dalla crisi?
Le politiche dell’austerità sono state controproducenti, e l’idea di rilanciare la domanda aggregata sulla base della teoria keynesiana potrebbe avere come effetto collaterale la crescita dell’inflazione. Ferragina sostiene invece che la ricetta giusta per vincere la crisi sia proprio la redistribuzione: senza gravare ulteriormente sul debito pubblico e ricorrere a nefaste politiche di austerity, redistribuire al fine di aumentare il reddito del ceto-medio sarebbe perfettamente funzionale a sostenere e rilanciare l’economia reale. In assenza di crescita, sostiene Ferragina, non ci salverà l’austerità, ma la redistribuzione: c’è da sperare che qualche partito politico ne tenga conto.