26 aprile 2024
Aggiornato 08:00
La crisi italian

Il 60% delle imprese fa debiti per pagare le tasse

E' uno degli ultimi risvolti della crisi finanziaria internazionale e della recessione economica, a cui si è aggiunto, nel nostro Paese, un pesante inasprimento della pressione fiscale

ROMA - Tre aziende su cinque chiedono prestiti in banca per pagare le tasse. E' uno degli ultimi risvolti della crisi finanziaria internazionale e della recessione economica, a cui si è aggiunto, nel nostro Paese, un pesante inasprimento della pressione fiscale. Ragion per cui il 68% delle micro, piccole e medie imprese italiane è stato costretto a ricorrere a un finanziamento per onorare le scadenze fiscali. E c'è l'Imu in cima alla lista dei balzelli che hanno spinto gli imprenditori a rivolgersi agli istituti di credito che ora stanno ricevendo analoghe richieste in vista della Tasi. Questi i dati di più di un sondaggio del Centro studi Unimpresa, condotto fra le 120.000 imprese associate sulla base dei dati raccolti al 31 marzo 2014.
Quanto ai settori produttivi, sono gli operatori turistici (per gli alberghi), le piccole industrie (per i capannoni) e la grande distribuzione (per i supermercati) quelli maggiormente esposti con le banche a causa dei versamenti fiscali sugli immobili e, più in generale, per tutti gli adempimenti con l'Erario.

NUOVI PRESTITI PER 7 MILIARDI: oltre 81.600 pmi associate a Unimpresa, dunque, hanno chiesto soldi alle banche, lo scorso anno, per rispettare le scadenze tributarie. Le rilevazioni, che confermano una tendenza registrata già lo scorso anno, sono state effettuate a partire dall'inizio del 2014, attraverso le 60 sedi di Unimpresa sparse su tutto il territorio nazionale. Oltre all'Imu e alla Tasi, è l'Irap l'altra tassa che mette in difficoltà gli imprenditori italiani, tenuto conto che l'imposta regionale sulle attività produttive si paga anche quando i bilanci sono in perdite dunque in assenza di utili. Quanto all'Imu, incrociando i risultati del sondaggio del Centro studi Unimpresa con i dati del dipartimento delle Finanze del ministero dell'Economia sul gettito fiscale, si può sostenere che per effettuare i versamenti sono stati contratti nuovi prestiti per quasi 7 miliardi di euro. Tre, in particolare, i comparti dell'economia del Paese letteralmente «strozzati» dal tributo immobiliare. Secondo il sondaggio Unimpresa, gli ostacoli maggiori sono stati riscontrati per le categorie che basano più di altre la loro attività imprenditoriale proprio sugli immobili.
E dunque si tratta degli operatori turistici (con i proprietari di alberghi in cima alla classifica), delle piccole industrie e delle fabbriche (per i capannoni) e del comparto della grande distribuzione organizzata (per i cosiddetti supermercati).

TRIPLO EFFETTO NEGATIVO SULLE AZIENDE: «Tutto ciò genera un triplo effetto negativo sui conti e sulle prospettive di crescita delle aziende», spiega il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi. «Il primo - afferma - è l'apertura di linee di credito destinate a coprire le imposizioni fiscali invece di nuovi investimenti, il che limita la natura stessa dell'attività di impresa. Il secondo problema sorge, poi, alla chiusura degli esercizi commerciali, quando il valore degli immobili posti a garanzia dei 'prestiti fiscali' va decurtato in proporzione al valore dell'ipoteca, con una consequenziale riduzione degli attivi di bilancio. Il terzo guaio è relativo a eventuali, altri finanziamenti per i quali l'impresa deve affrontare due ordini di problemi: meno garanzie da presentare in banca e un rating più alto che fa inevitabilmente impennare i tassi di interesse».

GETTITO TRIBUTARIO A RISCHIO: secondo Longobardi «questa è la prova che un sistema tributario troppo pesante si accanisce sulle imprese fino a portarle allo sfinimento, se non al fallimento.
Attivare linee di credito per pagare le tasse è assurdo: vuol dire la fine del sistema economico. Di fatto l'impresa si trova morsa in una tenaglia, con fisco e credito che tagliano le gambe e chiudono le porte del futuro»
. Non solo. «Alla fine - spiega il presidente di Unimpresa - il conto arriva anche per lo Stato: un'impresa che annaspa diventa un contribuente meno «generoso» e pure il gettito tributario ne risente e non poco sia sul fronte dell'imposizione diretta (a esempio l'Ires) sia su quello dell'imposizione indiretta (come l'Iva)».