18 agosto 2025
Aggiornato 07:00
Pubblica Amministrazione

L'idea di Madia: rilanciamo i baby pensionati

La collega Stefania Giannini, boccia la sua proposta di «staffetta generazionale» nella P.A e il Tesoro la strglia. Ma la ministra va avanti «forte - come disse Veltroni - della sua inesperienza»

Quando un governo in Italia non sa più che pesci prendere per risolvere un problema scottante per i cittadini (condizione che si ripete con regolarità sotto ogni bandiera) si inventa una formula, uno slogan, una etichetta, dietro la quale non ci sono che minestre riscaldate destinate al fallimento.
Perchè vengono presentate? Servono ad imbastire un mosaico di chiacchiere (meglio se seguito da polemiche), sui quali si gettano famelici giornali e talk show, da dare in pasto all'opinione pubblica per dimostrare che Palazzo Chigi e i ministri non stanno con le mani in mano.

Il governo Renzi, nonostante tutti proclami quotidiani di puntare sulla discontinuità, non ha saputo resistere alla tentazione di propinare agli italiani la solita bufala mediatica, che a volte viene utilizzata anche per coprire i buchi di attenzione che intercorrono fra una passerella nelle capitali europee che contano, una capatina ai vertici organizzati da Bruxelles, o la rassicurazione che tutto sta andando per il meglio affidata a «Che tempo che fa», «Ballarò» o «Porta a porta».
Quale è l'ultima patacca propinata agli italiani? E' la «staffetta generazionale» applicata alla Pubblica Amministrazione.
Intanto va chiarito quale è l'origine di una soluzione, la «staffetta generazionale», messa in campo recentemente da chi si occupa delle politiche attive del lavoro, cioè di quelle iniziative che possono facilitare l'ingresso dei giovani in un mondo del lavoro sempre più rarefatto.

La «Staffetta generazionale» per le imprese private prevede infatti che un lavoratore abbastanza prossimo alla pensione rinunci ad una parte dei suoi diritti in cambio dell'assunzione di suo figlio e dell'impegno a trasferirgli le sue esperienze lavorative.
Gli imprenditori avrebbero il vantaggio di trovarsi un dipendente già formato; le famiglie vedrebbero aprirsi uno spiraglio sull'avvenire dei loro figli; e lo Stato farebbe la sua parte coprendo con le proprie casse il periodo di interregno fra giovani e anziani previsto dalla «staffetta».
Teoricamente l'idea sta in piedi. Finora ha dato ben pochi risultati, ma ha avuto il pregio di essere stata presentata in sordina dal precedente governo, senza la benché minima pretesa di essere risolutiva.
Quindi fino qui tutto regolare.
Si dà il caso, invece, che quel brand «staffetta generazionale» sia sembrato a qualcuno, digiuno della materia, troppo glamour per lasciarlo morire fra i tanti sogni irrealizzati di Enrico Letta.
Questo qualcuno è il ministro Marianna Madia che ha pensato di apportarvi sostanziose modifiche, naturalmente tutte a carico dello Stato, con l'obiettivo di utizzare una etichetta buona per un altro prodotto per fare sentire la sua presenza come guida riformatrice della P.A.

L'osservazione più benevola da parte degli esperti è stata questa: «Se la «staffetta generazionale» è stato un flop nelle imprese private (nonostante il passaggio del testimone da padre in figlio e la trasmissione di esperienze utile sia alle aziende che ai nuovi assunti) figuriamoci l'effetto che potrebbe avere nella versione ventilata da Madia che prevede un secco «tre per uno», cioè tre baby pensionati (tanto paga Pantalone) in cambio dell'assunzione di un giovane funzionario».
L'idea della Madia è così strampalata che la sua collega di governo, il ministro dell'Istruzione, Stefania Giannini, praticamente le ha dato dell'incapace e il Tesoro le ha ricordato che non saprebbe dove prendere i soldi per questo esercito di baby pensionati.
La vicenda «staffetta generazionale» targata Madia non è però stata tutta in perdita: finalmente ci ha fatto capire che cosa ha spinto Matteo Renzi a mettere in campo il «generale Madia» per vincere la battaglia più difficile che sia stata combattuta, e persa, in Italia praticamente dai giorni dell'Unità in poi: e cioè il riordino della Pubblica Amministrazione.

Renzi ha, però, capito che su quel fianco sarà comunque costretto ad una sconfitta, quindi tanto vale mandarci qualcuno disposto a sacrificarsi in quella che in termini militari si chiama «manovra diversificatrice».
In genere ci si manda chi non ha niente da perdere. E chi meglio della Madia in questo ruolo? Nel 2008 fu propinata agli italiani come la ragazza della porta accanto, mentre poi si è scoperto che proveniva da una famiglia attaccata al potere dai tempi lontani del fascismo, fino alla Prima. La Seconda. E perché no? Alla terza Repubblica.
Chi meglio di una ragazza di 34 anni che il lavoro non sa nemmeno dove stia di casa (salvo incarichetti di partito mascherati da ufficio studi) per mettere lo scompiglio in milioni di famiglie italiane della Pubblica Amministrazione, che hanno, sì, qualche difettuccio di efficienza, ma soprattutto il torto di essere dipendenti di «questo» Stato?
Poi, come dicevamo all'inizio, non se ne farà nulla. Ma intanto al sortita stolta e disperata del «generale Madia» sarà servita al comandante in capo, Matteo Renzi, per distrarre i nemici e batterli in chissà quale altro scontro per lui ben più importante della «staffetta generazionale». E, come si dice, il «generale Madia» potrà pure dire in giro di essersi guadagnato la pagnotta. Il «comandante in capo» pensa proprio a tutto.