19 aprile 2024
Aggiornato 14:00
Conti pubblici | Crisi del debito

L'Europa bocciata da S&P: meno affidabile. Rehn contesta il declassamento

L'Unione europea ha perso la prestigiosa tripla A, il livello più elevato, ed è stata declassata di un gradino a 'AA+. La decisione dell'agenzia ha rapidamente innescato reazioni da più parti, tanto più che il taglio è piombato in pieno vertice europeo

BRUXELLES - L'autocompiacimento europeo per l'accordo appena raggiunto sulla gestione delle crisi bancarie è stato bruscamente stroncato stamattina, dall'annuncio del taglio di rating di Standard & Poor's. L'Unione europea ha perso la prestigiosa tripla A, il livello più elevato, ed è stata declassata di un gradino a 'AA+'. L'agenzia ha giustificato questa penalizzazione con motivazioni di due tipi: da un lato ragioni tecniche legate al fatto che è consistentemente calata la quota di entrate (e implicitamente di garanzie) che l'Ue riceve da Paesi con rating a tripla A. Dall'altro però ha anche citato ragioni di ordine geopolitico, parlando di un «indebolimento della coesione» e di «crescenti rischi di un calo di supporto» degli Stati membri.

Valutazioni di natura politica tanto più - va subito segnalato - che l'Ue in base ai trattati europei non può andare in disavanzo, non ha debito né tantomeno titoli di debito come quelli degli Stati (salvo alcuni specifici veicoli finanziari come i fondi anticrisi Efsf e Esm, che però hanno uno status particolare che ne blinda la solvibilità). In realtà sarebbe discutibile il fatto stesso di assegnare un rating all'Ue. Forse non a caso all'inizio del comunicato l'agenzia mette le mani avanti affermando che l'Unione, catalogata come ente sovranazionale, «prende a prestito fondi sui mercati per riprestarli a Stati membri e ad alcuni paesi terzi».

La decisione dell'agenzia ha rapidamente innescato reazioni da più parti, tanto più che il taglio è piombato in pieno vertice europeo. E così «rovinando la festa» a quei protagonisti che pensavano di congedarsi dalle rispettive opinioni pubbliche, prima della pausa per le festività, declamando almeno il recente successo delle intense trattative sui sistemi di gestione delle crisi bancarie.

Piccata la reazione del responsabile degli Affari economici Olli Rehn, che pure solitamente vita di commentare le decisioni sui rating. Invece ha apertamente contestato le valutazioni dell'agenzia. Soprattutto quando questa mette in dubbio l'impegno a sostenere l'Unione da parte dei paesi membri. «Tutti gli Stati - ha sottolineato - hanno sempre pienamente e puntualmente provveduto ai loro contributi, anche nel pieno della crisi finanziaria». Rehn ha rilevato che le altre due maggiori agenzie, Fitch e Moody's, mantengono il rating AAA e che le valutazioni dovrebbero riflettere le peculiarità dell'Unione, tra cui l'obbligo dei paesi a mantenere sempre il bilancio in equilibrio.

Più sottile il commento del presidente del Consiglio Enrico Letta, che giudicando il taglio come un «segnale da non sottovalutare» di una fase di «transizione non finita», ha però voluto notare il «tempismo non casuale» della decisione. «Non credo che l'Ue meriti questo declassamento», ha detto. Ad ogni modo «ci vogliono risposte all'altezza». Pragmatico, infine, il commento di un altro eurocommissario, Joaquin Almunia, responsabile della concorrenza che tuttavia è anche il predecessore di Rehn agli Affari economici. «Ci sono Stati che non hanno la tripla A e che sui mercati vanno benissimo, e ci sono Stati con la tripla A che vanno malissimo», ha detto.

L'agenzia comunque ha anche fornito delle argomentazioni puramente tecniche alla base del downgrade. «Abbiamo abbassato l'outlook sull'Ue a negativo nel gennaio 2012, da allora - afferma l'agenzia con un comunicato - il rating medio dei paesi contributori al bilancio è passato da 'AA+' a 'AA'. Abbiamo tagliato i rating di Francia, Italia, Spagna, Malta, Slovenia, Cipro» e pochi giorni fa dell'Olanda, uscita a sua volta dalla categoria tripla A. «Dal 2007 - dice ancora l'agenzia - la quota di contributi al bilancio Ue da paesi a tripla A si è quasi dimezzata, al 31,6 per cento del totale».

S&P però evoca anche possibili futuri problemi sulla coesione, affermando che il nuovo bilancio pluriennale dell'Unione europea ha sollevato crescenti disaccordi tra gli Stati membri. E che le trattative sulla partita potrebbero riaprirsi a metà percorso. Infine ha notato come la Gran Bretagna abbia previsto di tenere un referendum popolare sulla partecipazione all'Ue, nel 2017, e che comunque il tema della permanenza sarà al centro del dibattito politico già nelle sue elezioni generali, nel 2015.