27 aprile 2024
Aggiornato 07:00
La crisi del debito

Un comitato segreto per salvare l'euro. Senza l'Italia

Lo rivela il Wall Street Journal: «Esiste dal novembre 2008, ne fanno parte Germania, Francia, Ue, Bce. A febbraio la task force ha aperto le porte ai Paesi esclusi»

LONDRA - Un gruppo segreto per salvare l'euro. Messo in piedi nel novembre del 2008, due mesi dopo il crollo della banca d'affari statunitense Lehman Brothers. E composto da alti funzionari - del rango immediatamente inferiore a quello dei ministri - di Francia e Germania, oltre che di Ue, Bce e dell'ufficio del presidente dell'Eurogruppo Juncker.

Lo rivela il Wall Street Journal che, in una lunga inchiesta scaturita da 'dozzine' di interviste con funzionari europei, racconta come il «gruppo che non esiste» - dove l'Italia, uno dei Paesi fondatori dell'Ue e terzo 'grande' Paese di Eurolandia evidentemente non è rappresentato - sia stato costituito e si sia incontrato da allora allo scopo di congegnare un piano per evitare l'insolvenza di un paese della moneta unica. Con frequenti riunioni anche a margine di molti consigli e vertici ai massimi livelli a Bruxelles, Lussemburgo e in altre capitali. E con i partecipanti ai «vertici ombra» che hanno tenuto all'oscuro i colleghi dei loro stessi governi per il timore che fughe di notizie avrebbero potuto alimentare speculazioni sui mercati finanziari.
Nel marzo del 2009 l'alto funzionario del Tesoro francese, Xavier Musca - racconta il quotidiano statunitense - si apprestava a dimettersi dalla presidenza del Comitato economico e finanziario (Cef), l'influente organismo di tecnocrati che gestisce la politica economica Ue. E nel lasciare le consegne al suo successore, l'austriaco Thomas Wieser, alla fine di una lunga lista disse: «Incidentalmente c'è anche un gruppo ce non esiste».

PIGS - Il Wall Street Journal racconta come i potenziali 'candidati' alla crisi, fossero i cosiddetti 'Pigs' (Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna). E come profonde divergenze si siano aperte tra chi, come la Germania, si mostrava intransigente su regole dell'euro che impediscano salvataggi di Paesi in difficoltà e chi, come la Francia, chiedeva maggiore flessibilità. In particolare il ministro delle finanze tedesco temeva che la Commissione tentasse di instaurare un precedente per prestiti centralizzati da parte dell'Unione Europea effettuati attraverso l'emissione di obbligazioni. Uno scema che implicherebbe ce la Germania, il più importante paese creditore europeo, sussidierebbe altri Paesi. Berlino invece insisteva che ogni aiuto passasse attraverso prestiti diretti tra un Paese e l'altro in modo da avere una maggiore condizionalità. Un dibattito che lo scorso ottobre ha cessato di essere accademico.
L'inchiesta del Wall Street Journal ricorda come a Febbraio «divenne ovvio che i 16 Paesi della zona euro avrebbero dovuto fare qualcosa per affrontare la crisi greca e la task force segreta di Germania, Francia e di burocrati europei aprì le sue porte anche agli altri Paesi membri con l'eccezione della Grecia».
Poi lo scorso 25 marzo, il summit dei capi di stato e di Governo di Bruxelles nel quale anche il cancelliere tedesco Angela Merkel concordò di annunciare che la zona eruro avrebbe salvato la Grecia se quest'ultima avesse rischiato l'insolvenza, ma solo come ultima istanza dopo che Atene avesse esaurito l'accesso ai mercati dei capitali. Con l'inclusione del Fondo Monetario Internazionale in ogni eventuale pacchetto di salvataggio. Infine, l'11 aprile, la decisione Ue di mettere i soldi sul tavolo. Sotto forma di prestiti separati da paese a paese. Come voleva Berlino