23 aprile 2024
Aggiornato 09:00
Calcio | Nazionale

Nuova bufera sul Milan: una grave accusa per Yonghong

In Cina il proprietario del Milan è considerato insolvente: la cassaforte del finanziere quando comprò il Milan era già vuota. Questo emerge da un’inchiesta del Corriere della Sera.

Il proprietario del Milan Yonghong Li
Il proprietario del Milan Yonghong Li Foto: ANSA

MILANO - Quella che doveva essere una mattinata serena per gli appassionati rossoneri si è trasformata in fretta nell’ennesima giornata di passione sul fronte societario. Nemmeno il tempo di gioire per l’ennesimo successo di Rino Gattuso e i suoi ragazzi che l’inchiesta di Milena Gabanelli e Mario Gerevini ha squassato dalle fondamenta il già precario equilibrio dell’Ac Milan. «Siamo a Shenzhen nel sud della Cina, dieci milioni di abitanti a ridosso di Hong Kong. Ci sono un imprenditore, due banche e un tribunale: il cinese è titolare di una holding insolvente, le banche creditrici gli hanno fatto causa e il tribunale ha stabilito che, per saldare i debiti, il patrimonio della holding vada all’asta. Una storiella orientale apparentemente insignificante se il cinese con il patrimonio all’asta su Taobao (l’Ebay cinese) non fosse Yonghong Li, l’imprenditore che ha pagato 740 milioni alla Fininvest per comprarsi il Milan. L’ordine è arrivato dal tribunale del distretto di Futian: «Vendete all’asta il 2 febbraio» (data poi rinviata) la partecipazione (11,39%) che la cassaforte di Li possiede nella società di packaging Zhuhai Zhongfu, quotata alla Borsa di Shenzhen. Valore circa 60 milioni, ma il ricavato andrà a risarcire le banche»

Cassaforte vuota
Una rivelazione scioccante, confermata da un’accurata indagine messa a punto dai due giornalisti del Corriere della Sera che non fa altro che riaprire una ferita ancora aperta e sollevare ancora una volta la domanda da 1 milione di dollari: chi è il nuovo proprietario dell’Ac Milan? Sempre secondo il Corriere della Sera «mentre era inseguito dai creditori in patria, il quarantottenne finanziere residente dal 1994 a Hong Kong chiudeva in Italia — sotto i riflettori di mezzo mondo — una delle più costose acquisizioni calcistiche della storia, accreditandosi (e accreditato) come un grande e ricchissimo imprenditore dai mille interessi. Ma molto riservato. La sua credibilità, storia e consistenza patrimoniale l’ha riassunta in un documento consegnato alle parti nella trattativa e fatto circolare dagli uomini di Li, anche di recente, senza modifiche. Tra gli asset fondamentali, oltre alle famose e fantomatiche miniere di fosfato, c’è anche l’11,39% di Zhuhai Zhongfu, detenuto tramite la cassaforte Jie Ande. Occhio alle date: quella partecipazione era dal 2015 in pegno, cioè in garanzia, alla Jiangsu Bank a fronte di un prestito. Soldi mai più rimborsati, tant’è che nel maggio 2016 la banca fa causa alla holding di Li, a quel punto già insolvente, e il 7 febbraio 2017 il tribunale del popolo di Futian ordina che il pacchetto in pegno vada all’asta. Parte immediato il ricorso della holding Jie Ande. Intanto a Milano, il 13 aprile 2017, il cinese di Hong Kong chiude con Fininvest (600 milioni di plusvalenza consolidata) l’acquisto da 740 milioni del Milan, dopo aver fatto «girare» centinaia di milioni off-shore e con un prestito da 300 milioni (a tassi fino all’11% con scadenza 15 ottobre prossimo) del fondo americano Elliott». 

Azioni all’asta
Purtroppo non è finita e qui entriamo nella storia recente: «A metà maggio, dall’altra parte del mondo, il tribunale respinge il ricorso della holding di Li (gestita da un prestanome) confermando la vendita coattiva a favore della Banca Jiangsu. A default conclamato a Shenzhen, il nuovo proprietario del Milan presenta in Lega Calcio, a giugno, le credenziali su onorabilità e solidità. Tutto a posto. Il Milan è iscritto al campionato, e parte una faraonica campagna acquisti da 200 milioni. Sotto Natale, l’amministratore delegato del Milan, Marco Fassone, è a caccia di 3-400 milioni per rifinanziare il prestito da 300 milioni del fondo Elliott, quando il tribunale cinese fissa al 2 febbraio l’asta di giudiziale. Senonché l’8 gennaio arriva un’altra tegola per il povero Li: a inseguirlo è la Banca di Canton, a cui non ha pagato i debiti, e che chiede la liquidazione per bancarotta della holding Jie Ande. Nel frattempo dall’italia lo avvisano delle notizie di presunte inchieste per riciclaggio, poi smentite, sulla compravendita del Milan. Li rompe il silenzio e garantisce che tutto si è svolto «con la massima trasparenza, regolarità e correttezza». A Shenzhen l’asta su Taobao del 2 febbraio viene rinviata, perché c’è la richiesta di liquidazione per bancarotta della Banca di Canton che si accavalla alle pretese risarcitorie della Banca di Jiangsu».
E intanto il Milan di Gattuso prova ad andare avanti, malgrado tutto.