26 aprile 2024
Aggiornato 22:00
Formula 1

Ayrton Senna, l'ingegnere confessa: «Sono responsabile della sua morte»

Adrian Newey, all'epoca capo progetto della Williams, consegna il suo strazio nelle pagine della sua autobiografia: «Sbagliai a disegnare quella macchina, e oggi mi sento in colpa»

Ayrton Senna
Ayrton Senna Foto: Tag Heuer Ufficio Stampa

ROMA - Sono passati oltre ventitré anni da quel terribile 1° maggio 1994 in cui, durante il Gran Premio di San Marino sul circuito di Imola, perse la vita Ayrton Senna, il campione più talentuoso e amato della sua epoca. E come nel cuore di tutti gli appassionati che assistettero in diretta a quel tragico schianto non si spegne il dolore per la perdita di uno sportivo inimitabile e indimenticato, nella mente di coloro che lavoravano alla Williams resta vivido il senso di colpa per aver, anche indirettamente provocato questa tragedia. Uno di questi è Adrian Newey, oggi ammiratissimo direttore tecnico della Red Bull, ma all'epoca capo progetto di quella FW16 al volante della quale il fenomeno brasiliano trovò la morte. «A prescindere dal fatto che la colonna dello sterzo abbia o meno provocato l'incidente, non si scappa dal fatto che quella componente era stata progettata male e non la si sarebbe mai dovuta montare sulla macchina - ricorda oggi l'ingegnere inglese nelle pagine della sua autobiografia intitolata 'How to build a car' - Io ero uno dei dirigenti della squadra che progettò una macchina in cui è rimasto ucciso un grande uomo».

Macchina maledetta

Il lungo caso giudiziario che si aprì nelle aule di tribunale italiane dopo l'incidente fu incentrato proprio sul piantone, che secondo l'accusa si sarebbe rotto per via di una modifica e di un riposizionamento effettuati in fretta e furia prima della gara. Ma, secondo il progettista, ad aver tratto in inganno l'asso del volante sarebbe stata piuttosto una improvvisa perdita di trazione dovuta all'inefficienza aerodinamica dell'auto, della quale appunto proprio lo stesso Newey si pente amaramente: «Ciò per cui provo più senso di colpa è l'aver sbagliato l'aerodinamica della macchina - prosegue colui che oggi, ironia della sorte, è diventato proprio il guru dell'aerodinamica in Formula 1 - Non gestii bene il ritorno dalle sospensioni attive a quelle passive e progettai una vettura che era aerodinamicamente instabile. Ayrton tentava di far fare alla macchina cose che lei non era in grado di fare. Che abbia forato o meno la gomma, quando prese la traiettoria interna, più veloce ma anche più sconnessa, quella monoposto aerodinamicamente instabile diventò comunque difficile da controllare, perfino per lui. Mi sentirò per sempre in un certo senso responsabile per la morte di Ayrton, anche se non colpevole».