19 aprile 2024
Aggiornato 20:30
Il rilancio rosso visto dagli occhi dell'ex tecnico ferrarista

Mazzola: «La Ferrari torna a vincere grazie al lavoro di squadra»

Lo storico responsabile della squadra test del Cavallino rampante al DiariodelWeb.it: «Maurizio Arrivabene ha insegnato (di nuovo) a Maranello cosa vuol dire lavorare tutti insieme per un unico obiettivo. Proprio come fece Ross Brawn»

MARANELLO – Si era presentato dichiarando: «Non aspettatevi miracoli». Eppure il suo piccolo miracolo Maurizio Arrivabene, l'uomo del rilancio rosso, è riuscito a realizzarlo, e in pochi mesi. Laddove c'era un gruppo di tecnici certamente validi ma sempre in guerra tra loro è riuscito a creare una vera squadra, granitica e compatta, a caccia di un unico obiettivo: la vittoria. Proprio lo stesso miracolo che Jean Todt e Ross Brawn riuscirono a compiere a fine anni '90, inaugurando l'era dei successi a ripetizione targati Michael Schumacher.

Lo sa bene Luigi Mazzola, in quegli anni responsabile della squadra test del Cavallino rampante. Oggi lavora in GP2, come supervisore tecnico del team Lazarus (e la Formula 1 gli manca, «ma non quella di oggi dove i test non si possono più fare», sorride ai microfoni del DiariodelWeb.it). Ma soprattutto si dedica alla formazione aziendale come coach. E qui continua a insegnare la parola d'ordine imparata negli anni d'oro della Ferrari: per vincere ci vuole la forza di un gruppo. La stessa parola d'ordine che a Maranello, oggi, sembrano essersi finalmente ricordati.

Ingegner Mazzola, se ad aver progettato la SF15-T che ora vince sono stati i vecchi tecnici, che senso ha avuto cacciarli via?
Una macchina è un sistema complesso. E si scopre la sua bontà solo quando si scende in pista. Gli ingegneri che se ne sono andati sicuramente non volevano costruire una vettura uguale alla precedente: hanno cercato di migliorarla, ma non ci sono bacchette magiche che la rendano più veloce. Durante l'inverno, hanno svolto il loro consueto lavoro per migliorarsi. Ma se la Ferrari ha deciso di rivoluzionare il gruppo è stato probabilmente perché si è resa conto che non si stavano migliorando abbastanza.

Hanno ripreso in mano il solito, vecchio problema della coesione del gruppo, insomma. Alla Ferrari non è certo una novità, vero?
Negli anni vincenti questo non è mai stato un problema, in quelli perdenti sempre. Ho lavorato alla Ferrari per vent'anni, dieci in cui abbiamo perso e dieci in cui abbiamo vinto. Nel mezzo c'è stato un cambio di mentalità, perché le persone non sono cambiate molto. Quando arrivò Ross Brawn, tutti temevamo che ci avrebbe messo da parte, ma nessuno fu cacciato. Invece, ci insegnò un diverso atteggiamento: concentrarci tutti insieme sull'importanza della vettura.

E qual è il segreto?
Ci fu questa bellissima riunione in cui Ross ci chiese come stava andando ogni reparto. Tutti, dai tecnici del motore a quelli dell'aerodinamica a quelli del cambio, dissero che non andava così male. Ed era vero, perché la vettura aveva ottime componenti. Ma non vinceva. Allora Brawn ci fece capire che avere il miglior motore o il miglior telaio non basta: bisogna avere la migliore vettura. A quel punto cominciammo a lavorare gli uni per gli altri. Non è il singolo ingegnere che conta, è la potenza di un intero team.

Cosa può raggiungere questa Ferrari che finalmente riesce a sfruttare la potenza della sua squadra?
Durante i miei corsi nelle aziende insegno quello che imparai da Senna, Prost, Schumacher, Brawn, Valentino Rossi. Se pensi al passato, ricadi nel senso di colpa; se ti concentri solo sul futuro, ti crei ansia. Bisogna concentrarsi sul presente. E cercare di migliorare quello che si ha oggi. Esattamente ciò che stanno facendo a Maranello.