23 aprile 2024
Aggiornato 12:00
L'intervista

Sardone: «Altro che aiuti europei: aziende, commercianti e famiglie non avranno nulla»

Il DiariodelWeb.it commenta con Silvia Sardone, europarlamentare della Lega, l'accordo raggiunto sul Recovery Fund al Consiglio europeo

Giuseppe Conte con Angela Merkel durante un momento del Consiglio UE
Giuseppe Conte con Angela Merkel durante un momento del Consiglio UE Foto: ANSA

Alla fine l'accordo è arrivato. Alle 5:32 del mattino, al termine di quattro giorni e quattro notti di trattative, i leader degli Stati dell'Unione hanno approvato il Recovery Fund, il piano straordinario da 750 miliardi contro la crisi coronavirus. Per convincere i cosiddetti Paesi frugali è stato necessario ridurre la quota concessa a fondo perduto (da 500 a 390 miliardi) e aumentare i prestiti (da 250 a 360 miliardi).

Per l'Italia, tuttavia, la cifra a fondo perduto resta pressoché invariata (sarà di 81,4 miliardi, solo 400 milioni in meno della proposta originale) e addirittura cresce quella dei prestiti (127,4 miliardi). Ma quello che arriva da Bruxelles a Roma non è certamente un regalo, visto che sarà proprio la Ue a definire priorità e modalità delle risorse da realizzare con quei soldi. Cosa si nasconda nelle pieghe di questo famigerato Fondo per la ripresa, dunque, il DiariodelWeb.it lo ha chiesto a Silvia Sardone, europarlamentare della Lega.

Onorevole Silvia Sardone, ritiene giustificate queste celebrazioni di una presunta vittoria da parte di Conte?
Purtroppo sono celebrazioni fondate sul nulla. Ricordo che il 18 maggio il premier dichiarava: «La proposta franco-tedesca (500 miliardi a fondo perduto) è un primo passo importante nella direzione auspicata dall'Italia. Ma per superare la crisi e aiutare imprese e famiglie serve ampliare il Recovery Fund». Risultato: i soldi a fondo perduto scendono da 500 a 390, da spalmare in un arco di tempo dai quattro ai sei anni e da dividere tra tutti i paesi dell’Unione europea.

Il premier ha parlato di «accordo migliore possibile». Ma è davvero il migliore per l'Italia?
Conte si è consegnato alla Merkel, che notoriamente non ha proprio a cuore gli interessi italiani. Segnalo che in questo momento ci sono aziende in crisi, commercianti al collasso, famiglie in difficoltà che non avranno nulla. Sono fondi che, se arriveranno, partiranno solo nel 2021. Insomma, il malato sta morendo, ma questi non pensano assolutamente a curarlo subito. Inoltre vorrei che sia chiaro che non ci viene regalato nulla. La parte in prestiti andrà restituita, ma anche la parte in sussidi sarà data indietro con il nostro contributo al bilancio europeo e con nuove tasse, come la plastic tax.

Mentre negli Stati Uniti basta una firma, in Europa ci sono voluti mesi di negoziati e il Consiglio più lungo di sempre per arrivare a questo accordo. Le istituzioni comunitarie, così come sono, le paiono efficaci?
L’Unione europea risponde sempre in maniera inadeguata e in ritardo. Basta vedere cosa hanno fatto durante l’emergenza coronavirus: tutti i Paesi hanno proceduto in ordine sparso, non c’è stata alcuna solidarietà, ci rifiutavano persino mascherine e respiratori, non c’era nemmeno un protocollo unico che chiarisse a chi andavano fatti i tamponi. È un’Unione europea che ragiona per interessi economici e pochissimo per le esigenze dei cittadini.

Come valuta il comportamento tenuto da Olanda, Austria, Danimarca, Svezia e Finlandia nei confronti del nostro Paese?
I frugali hanno vinto. Hanno ottenuto il ridimensionamento del Recovery Fund, aumentando persino i propri privilegi, visto che l’Olanda è un paradiso fiscale. Ricordo, visto che i sostenitori del governo se ne dimenticano, che tutti gli esecutivi dei Paesi frugali sono alleati del Pd in Europa.

I fondi per la ripresa stanziati sono davvero sufficienti a contrastare una crisi economica che si prospetta senza precedenti?
Bisogna subito dire che non serviranno a fare ciò che veramente serve: tagliare le tasse. Sono soldi prestati e da rimborsare, che sono vincolati a riforme sulle pensioni, sulla sanità, sull’istruzione. È più probabile che siano collegati a nuovi sacrifici piuttosto che a prospettive positive per il Paese.

Bruxelles, infatti, deciderà quando e su quali riforme potremo spendere questi fondi. Questo controllo ci espone a rischi?
La realtà è che nasce una specie di sindacato ispettivo degli altri Stati europei, che potranno alzare il ditino contro di noi! C’è quindi un meccanismo di commissariamento: le politiche economiche saranno decise dalla Commissione europea, in base a obiettivi di parte. Come spendere i fondi sarà deciso altrove, da persone che non conoscono le nostre esigenze.

La quantità di prestiti rivolta al nostro Paese è cresciuta, guarda caso, di 36 miliardi, proprio l'entità del Mes. Significa che almeno il ricorso a questa misura ce lo potremo evitare?
In realtà, per come è costruito, questo Recovery Fund somiglia in parte al Mes. Noi abbiamo una posizione chiara sul Mes: è un cappio che porta alla troika. Il governo ne discute da quattro mesi: è ora che diano una risposta definitiva al Paese. Questa sceneggiata è imbarazzante!

E non è ancora finita: ora bisognerà che gli accordi vengano ratificati dai singoli parlamenti degli Stati. Si aspetta ulteriori battute d'arresto in questo estenuante percorso di approvazione?
Considerato il ridimensionamento e l’atteggiamento di molti Paesi, è possibile che nei prossimi mesi si riducano ancora di più le possibilità di manovra sui fondi.