«Test 20%» per Nicola Zingaretti, ma per il Pd la sfida è il rapporto con i 5 Stelle
Il netto successo di Zingaretti alle primarie ha congelato tutto e ricompattato il partito, ma il segretario è perfettamente consapevole che tutto potrebbe cambiare con un risultato deludente

ROMA - L'asticella l'ha fissata lo stesso Nicola Zingaretti, il Pd punta a prendere «ben oltre il 20%» alle europee e da qui il neo-segretario intende ripartire. La tregua imposta dal congresso è fragile, il leader democratico lo sa bene e per questo vuole innanzitutto dimostrare che il Pd è vivo e vegeto e che non è possibile farne a meno se si vuole immaginare un'alternativa al governo Lega-m5s. Operazione non scontata, se si considera che solo qualche mese fa tutti davano per certa una scissione Pd, con Matteo Renzi pronto a fondare un proprio partito.
Tutto potrebbe cambiare
Il netto successo di Zingaretti alle primarie ha congelato tutto e ricompattato il partito, ma il segretario è perfettamente consapevole che tutto potrebbe cambiare con un risultato deludente o con qualche mossa falsa sul piano politico, tipo un'apertura al dialogo con M5s.
Renzi vuole un centrosinistra moderato
Renzi ha già mandato il suo avvertimento, con un'intervista dopo settimane di silenzio: «Cè questa tentazione da parte di una corrente culturale nella società e di qualche aspirante ministro all'interno del PD. Ma un'alleanza con i Cinque Stelle sarebbe una sciagura». Per l'ex premier la strada è una sola: «Bisogna guardare a un centrosinistra moderato, le elezioni noi le vinciamo al centro, non a sinistra».
Zingaretti «prudente»
Zingaretti sa bene che l'offensiva dei renziani potrebbe ripartire da un momento all'altro. Finora si è mosso con prudenza, ma con una linea chiara: riallacciare il più possibile i contatti con quei mondi del centrosinistra che avevano «divorziato» dal Pd e un no netto a qualsiasi ipotesi di governo con i 5 stelle in caso di crisi di governo.
Discontinuità con la gestione renziana
Sul piano dei rapporti «diplomatici», il neosegretario ha subito riavviato il rito degli incontri con sindacati e mondo delle imprese, dando un segnale di netta discontinuità rispetto alla gestione Renzi. Non solo, ha teso la mano a Cgil-Cisl-Uil sul reddito di cittadinanza, incuneandosi nella frattura che si è creata tra sindacati e m5s sul salario minimo.
Ulivo 2.0
A livello politico, Zingaretti ha proposto un Ulivo 2.0, anzi forse meglio dire una versione mite della vocazione maggioritaria di Walter Veltroni: le «liste unitarie» che sbandiera ogni giorno sono proprio questo, il segnale di un Pd che vuole tenere insieme Carlo Calenda e Giuliano Pisapia, passando per gli «ex» di Pierluigi Bersani e Massimo D'Alema, sia pure senza per ora far rientrare nel partito gli scissionisti.
Il rapporto con i 5 Stelle
Ma, appunto, il tema è il rapporto con M5s e il baricentro che il Pd assumerà. E su questo Zingaretti fa capire di avere idee che non coincidono perfettamente con quelle dell'ex segretario: «Cercare voti al centro? Sono schemi che contano poco», dice. E sui 5 stelle aggiunge: «Vedremo cosa accade. Per ora bisogna che questo governo vada a casa. Si aprirà una nuova sfida, che riguarderà questo campo di forze, cosa vorranno fare i 5 stelle da soli e cosa vorrà fare il centrodestra e come si riorganizzerà. C'è una grande insofferenza di Matteo Salvini verso i settori moderati, liberali, di quell'alleanza».
In caso di crisi il PD chiederà il voto
Il segretario Pd è convinto che il governo non reggerà, a prescindere dai risultati delle europee. Per Zingaretti il punto è l'economia: «Più che al voto, il futuro del governo è legato ai nodi che dovranno affrontare: la crescita che è un disastro, i conti fuori controllo...». A quel punto si apriranno i giochi. Il Pd cihederà il voto, perché Zingaretti non intende ripetere l'esperienza del governo Monti e anche perché sarebbe l'occasione per ridisegnare i gruppi parlamentari - oggi a maggioranza renziana - a propria immagine e somiglianza.
Scenario fluido
Dopo il voto il quadro politico sarebbe completamente diverso: M5s, dopo la rottura con la Lega potrebbe anche diventare un interlocutore. E il Pd dovrà anche guardare verso i moderati del centrodestra che potrebbero fuggire da una coalizione dominata da Salvini. Uno scenario fluido che potrebbe risvegliare le tentazioni scissioniste dei renziani.
Serve un risultato buono alle europee
Per questo, il primo passo è blindare il partito - e la leadership - con un risultato buono alle europee. Zingaretti ci spera, confortato dai sondaggi degli ultimi mesi. La soglia del 25% indicata da Renzi come raggiungibile fa capire che la minoranza è pronta a riaprire la discussione, non a caso Zingaretti dice di ritenerla «un augurio» e ribatte che sopra il 20% è tutto buono. Di fatto, le primari di marzo sono state solo il primo tempo del congresso Pd e queste europee potrebbero riaprire i giochi interni, o chiuderli definitivamente se il partito andrà oltre le attese.
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