19 marzo 2024
Aggiornato 07:30
Governo Lega-M5s

Giuseppe Conte difende il suo ruolo istituzionale per restare in sella (Salvini e Lega permettendo)

Per il premier tecnico è il primo vero test delle urne. Anche se più che su di lui, vista la piega presa dalla campagna elettorale, le europee sono più una «conta» tra i due vice Matteo Salvini e Luigi Di Maio

Giuseppe Conte e Matteo Salvini
Giuseppe Conte e Matteo Salvini Foto: ANSA

ROMA - Rimanere il più possibile al riparo delle scontro tra Lega e M5s sperando che si tratti di una bufera passeggera ma tenendosi pronto a ogni eventualità. Questa la linea che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha tenuto per tutta la campagna elettorale, cercando di non entrare nelle polemiche tra i due riottosi alleati di governo. Per il premier tecnico, arrivato a Palazzo Chigi senza passare dal voto popolare, è il primo vero test delle urne. Anche se più che su di lui, vista la piega presa dalla campagna elettorale, le europee sono più una «conta» tra i due vice Matteo Salvini e Luigi Di Maio.

Giorgetti: «Conte non è più super partes»

Non a caso l'avvocato prestato alla politica ha cercato il più possibile di stare lontano dalla rissa tra i due, facendo anche chiarire in modo ufficioso dal suo portavoce che «non partecipa alla competizione elettorale e non si lascia certo coinvolgere nella dialettica che la sta caratterizzando». In privato, riferisce chi ci ha parlato, non ha nascosto la preoccupazione per i toni sempre più accesi, ma in pubblico li ha sempre derubricati allo stato di «scaramucce» elettorali, dicendosi convinto (anche con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella) della saldezza del suo esecutivo. Una tattica ben compresa dalla Lega, che infatti ha tentato di trascinarlo nella battaglia politica, anche mettendo in dubbio il suo ruolo di «garante» dell'esecutivo. «Conte non è più super partes», ha accusato il potente sottosegretario leghista Giancarlo Giorgetti, accostando il presidente del Consiglio al Movimento 5 stelle che «ci fa opposizione» e dunque facendo preventivamente capire che se resa dei conti ci sarà nessuno sarà risparmiato.

Il pranzo «riparatore» al Quirinale

Una mossa che Conte non ha gradito ma su cui ha fatto buon viso a cattivo gioco, continuando a stare alla larga dalle polemiche e cercando di disinnescare ogni possibile «mina». Per farlo si è dedicato principalmente a temi «alti»: la pace, le relazioni internazionali, la situazione in Libia, cercando allo stesso tempo di rinviare tutti i dossier più scottanti a dopo il voto. Ci è riuscito fino a un certo punto, fino a quando, cioè, Salvini non ha messo sul tavolo il decreto sicurezza bis e Di Maio gli ha risposto con il decreto natalità. Un cortocircuito che ha richiesto tutta la capacità di mediazione del professore pugliese, sfociata, sostanzialmente, in un rinvio. Ma con un incidente non da poco che tradisce la tensione del premier, solitamente molto cauto e attento al galateo istituzionale. Conte, infatti, per stoppare il decreto del Viminale, si sarebbe fatto scudo dietro presunte perplessità del Quirinale. Che, secondo quanto si apprende, realmente c'erano, ma che non possono diventare oggetto di scontro politico. Da qui il pranzo riparatore di mercoledì al Quirinale e lo slittamento di entrambi i provvedimenti.

La «conta» tra Salvini e Di Maio

Dopo il voto che accadrà? Nel Movimento 5 stelle molti sono convinti che Matteo Salvini sia intenzionato a rompere se la Lega andrà sopra il 30%. Ma se invece l'esperienza di governo dovesse proseguire, Conte è intenzionato a lavorare da subito per ricucire il rapporto tra i due alleati. Un passaggio che però difficilmente, è l'opinione comune, potrà risolversi semplicemente con uno dei tanti vertici notturni visti fino a qua. Il M5s punta a un «tagliando» del contratto di governo, la Lega vuole invece un rimpasto, che potrebbe però far deflagrare un nuovo conflitto."Ho ottime sensazioni, saremo di gran lunga il primo partito», assicura Salvini ai suoi, confermando di essere deciso, in quel caso, a fare valere tutto il suo peso per spostare l'asse del governo, il cui fragile equilibrio potrebbe anche non reggere.