19 marzo 2024
Aggiornato 12:00
L'intervista

Airola: «Se il Movimento 5 stelle lascia il governo, Draghi deve avere paura»

Il Senatore Alberto Airola, del M5s, parla al DiariodelWeb.it dei due temi centrali dello scontro in maggioranza: la riforma della giustizia e il reddito di cittadinanza

Il Senatore Alberto Airola
Il Senatore Alberto Airola Foto: Angelo Carconi ANSA

Nemmeno il tempo di seppellire l'ascia di guerra tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte, che il M5s si ritrova a scendere nuovamente in battaglia. Stavolta contro Mario Draghi, il presidente del Consiglio. I temi caldi dello scontro sono due: la riforma della giustizia e il reddito di cittadinanza. Su entrambi i punti la linea del governo non sembra andare giù ai pentastellati, e il primo incontro a palazzo Chigi tra il premier e il suo predecessore, oggi diventato capo partito, è servito semmai ad aprire il confronto, ma non certo a sciogliere tutti i dubbi. Tanto che, nel Movimento, c'è anche chi inizia ad evocare l'ipotesi di abbandonare la maggioranza: è il caso del senatore Alberto Airola, che il DiariodelWeb.it ha raggiunto.

Senatore Alberto Airola, è soddisfatto dell'accordo raggiunto sullo statuto tra Conte e Grillo?
Sono stati compiuti dei passi in avanti importanti, non solo per la salvezza del Movimento 5 stelle, ma anche per il Paese. Una forza democratica come la nostra fa da cuscinetto tra l'ascesa delle destre, che comunque salgono ma in maniera più contenuta, e una sinistra debole. Sì, abbiamo attraversato acque difficili, ma abbiamo comunque lavorato in una certa direzione.

Ora, in compenso, si è aperto il fronte della riforma della giustizia. La mediazione con Draghi ha risolto le criticità?
Mi fido moltissimo di Conte, una persona che ha guidato il Paese in un momento drammatico della storia recente. La sua presa di posizione di serve, anche se lui ovviamente usa i toni di un premier. I miei sono più duri, ma posso permettermelo. Ad un uomo della finanza non si parla in politichese, ma in modo conciso e sintetico. Draghi vuole volare al di sopra del parlamento e degli altri ministeri, ma bisogna fargli capire che non può comportarsi così, perché va incontro a delle ripercussioni.

Quindi bisogna alzare la voce con il presidente del Consiglio?
Io, per come sono fatto, la alzo. Poi ci sono molti modi politici per convincerlo che non può fare quello che vuole, ma deve concertare con la principale forza politica del Paese. I quattro ministri del M5s hanno dato un contestatissimo voto favorevole, in un momento di totale confusione. Ma a detta loro, e io ci credo, il testo della riforma Cartabia è arrivato sul tavolo venti minuti prima. Dunque posso immaginare che Draghi abbia consultato tutti i partiti tranne noi, perché altrimenti avrebbe incontrato degli scogli insuperabili.

Quando la legge arriverà in aula, lei la sosterrà o no?
Mi prenderò la libertà di valutare come sarà cambiata, se sarà cambiata, durante il percorso parlamentare, e di votare sì o no al provvedimento, o astenermi. Farò la mia battaglia.

È stato annunciato che verrà posta la fiducia.
Questo farebbe rizzare i capelli anche al Colle. Non può farlo. E sarebbe un gesto dirompente, che il primo a pagare sarebbe proprio Draghi.

Insomma, continua a non sembrarmi del tutto convinto delle intenzioni del premier.
No, non lo sono, ma lancio anche dei messaggi forti. Che devono arrivare alle orecchie di tutti: non solo a Draghi, ma alla mia forza politica e alle altre. Questa riforma è inaccettabile, ha degli aspetti che addirittura sono profondamente incostituzionali: il Csm è in rivolta, giuristi autorevoli e di fama sono assolutamente critici, per usare un eufemismo. Qui si distrugge veramente il sistema processuale.

Sembra che questo governo non condivida i vostri valori. A questo punto, ha senso restarci? O piuttosto, ha avuto senso entrarci fin dall'inizio?
Credo che degli errori siano stati commessi. Ma il senso ce l'ha eccome. In un sistema parlamentare come il nostro, i colleghi di Fratelli d'Italia che sono rimasti fuori possono solo lamentarsi, fare gli spettatori. Essere dentro significa contare qualcosa. E poter combattere.

Combattere per cosa?
Per frenare la demolizione programmatica degli obiettivi che abbiamo raggiunto: il prossimo sarà il reddito di cittadinanza. Naturalmente, l'opportunità di starci è legata ai risultati che si riescono ad ottenere. A fronte di una perdita totale d'identità o di consenso, di certo, ci si dovrebbe sfilare.

Dove starebbe il punto di rottura?
Non so dove fissare la linea. Lo vedremo. I punti nodali, lo ripeto, sono la giustizia e il reddito di cittadinanza.

Traduco: se passasse la riforma della giustizia così com'è e venisse abolito il reddito di cittadinanza, il Movimento 5 stelle direbbe basta?
Mi auguro di sì. Io di sicuro lo farei, perché significherebbe aver fallito. In occasione del voto di fiducia a questo esecutivo, io feci un intervento molto chiaro, ponendo delle condizioni: che si lavorasse per il bene degli italiani, rispettando i paletti fissati nella discussione con lui. Se ciò non fosse avvenuto, l'avremmo abbandonato. Noi saremmo stati probabilmente cancellati dall'attività di governo, ma anche lui non sarebbe andato lontano.

Perché dice questo?
Sono convinto che Draghi debba avere paura all'idea che il M5s lo abbandoni. In quel caso il suo non sarebbe più un governo di unità nazionale, ma diventerebbe politico, egemonizzato dalle destre.