26 aprile 2024
Aggiornato 18:30
Governo

Come i poteri forti cercheranno di mandare l'«avvocato del popolo» a scontrarsi col popolo

Le mediazioni sono finite: se prometti il cambio della storia allora quello devi dare. Il popolo si aspetta il conflitto aperto. Il nuovo governo avrà la forza di farlo?

Il premier incaricato Giuseppe Conte
Il premier incaricato Giuseppe Conte Foto: ANSA/FABIO FRUSTACI ANSA

ROMA - La Fiat non produrrà più automobili in Italia. Nel giorno in cui si celebra la narrativa di Philip Roth, giunge la notizia del definitivo abbandono da parte del marchio industriale più importante d'Italia: rimarranno le auto di gamma alta, Maserati e Alfa Romeo. Con molta probabilità cesserà la sua storia, centenaria, il marchio Lancia. E' superfluo far notare che i volumi produttivi caleranno: non è possibile pensare che la produzione di auto di fascia medio-alta possa sostituire l'occupazione creata da Panda e Punto. Automobili che verranno invece assemblate all'estero, nella speranza che i componenti invece siano sempre fatti in Italia, come accade, ad esempio nel caso della 500. Philip Roth in «Pastorale americana» racconta la bestiale disumanità che devasta gli Stati Uniti degli anni Sessanta e Settanta nel momento in cui la produzione industriale viene smontata e spostata all'estero. La distruzione della società che si trasforma, brutalmente, in un campo di battaglia, in cui le città industriali diventano desolati deserti in decomposizione.

Ci ha salvato il welfare state, forse
Si dirà: «In Italia la globalizzazione ha già avuto la fase acuta, e le città industriali non si sono trasformate negli scenari apocalittici di Roth». Ovvia considerazione, ma che dimentica che questo collasso della civiltà non è accaduto, in quanto il welfare state fondato sulla Costituzione, scaturito dal conflitto ideologico della Guerra fredda, ha attutito l'atterraggio sul duro. Ci siamo inventati la trasformazione delle città da industriali a turistiche, il neoliberismo anglosassone si è trasformato in capitalismo di stato, un'enorme bolla debitoria è stata gonfiata al fine di attutire la smobilitazione del settore primario. La bolla, come sempre accade nella storia, è stata risucchiata dalle consorterie, dalle varie caste, dal movimento trasversale dall'assistenzialismo improduttivo. E' la ragione per cui, dalla Germania e non solo, siamo visti come un popolo incapace di gestire il denaro pubblico, e quindi non solo dobbiamo tagliare questa dinamica a colpi di austerità, ma dobbiamo anche pagare una punizione esemplare.

L'Ami du peuple
Il quadro in cui prende il potere – che brutta espressione, ma i tempi sono quelli che sono – il nuovo governo è oscuro come non mai. La somma data da deindustrializzazione furibonda, taglio dello stato sociale, crisi debitoria, e sostanziale esaurimento di ammortizzatori sociali – se rapportati alle crisi produttive e occupazionali che ci attendono – crea un campo minato. L'Ami du peuple (L'amico del popolo) fu un giornale fondato nel settembre del 1789 da Paul Marat durante la Rivoluzione Francese. Marat, che si firmava egli stesso «l'amico del popolo», fece una brutta fine, a causa del popolo. E come fa notare Lucia Annunziata, gli amici, o avvocati, del popolo nella storia sono stati molti: Robespierre, Lenin, Locke, Rousseau. Tutti, o quasi tutti, hanno fatto una brutta fine proprio a causa del popolo che, in origine, li adorava. E se l'hanno scampata in vita è perché sono morti prima che il corso degli eventi, inevitabile, si abbattesse su di loro. E il corso degli eventi oggi è di fronte a noi, inevitabile, enorme e gigantesco: si chiama inevitabilità.

Due possibilità
La struttura sociale, culturale, economica sono impostate per non lasciare alcuno spazio di autoderminazione non solo agli avvocati, ma proprio ai popoli stessi. Il voto espresso, e ancor peggio l'esito governativo italiano, stanno creando le premesse per due possibilità: la resa del concetto di autodeterminazione dei popoli, e quindi della democrazia – che sia italiana o meno non ha alcuna importanza – oppure del martirio di chi vi si oppone. Detto in parole semplici: il governo che arriva ha due scelte, la resa senza condizioni oppure il conflitto aperto. Vivacchiare, tentare di tenere il potere senza scontentare nessuno, campare nella speranza che in molti dimentichino e il tifo della squadra del cuore prevalga sulla materia, è una pia illusione. Tre soggetti si frappongono a ciò. Il primo, chiaramente, è il popolo.

Il popolo
Il popolo dal suo avvocato non si aspetta parole gentili e rassicurazioni, e se lo fa lo è solo in parte. Il popolo, così come un semplice cittadino, si aspetta che lo tiri fuori da guai, dalla prigione, dalla forca. E più i guai sono grandi, e quelli italiani sono enormi, più le aspettative reali sono pressanti. L'Italia ha di fronte un tribunale spietato, che ha già scritto la sentenza, e dietro il tribunale è già schierato il plotone d'esecuzione. Il popolo, per fortuna del nuovo potere, al momento e per molto tempo ancora, gode della fine degli avversari politici caduti nella polvere. Come diceva Oscar Wilde, si gode molto di più delle sventure altrui che delle proprie fortune. La fine di Matteo Renzi, e del Partito Democratico, assicurano carburante per il consenso di chi ora andrà al governo. Non a caso la Rivoluzione francese e bolscevica la prima cosa che fecero fu decapitare la monarchia, in senso letterale. Ma il popolo, come la donna verdiana, è mobile come una piuma nel vento, mutevole nel pensiero. Il popolo si aspetta delle cose precise: subito. Perché viviamo nel tempo dell'immediato, perché le mediazioni sono finite, perché se prometti il cambio della storia allora quello devi dare. Le promesse fatte, come da contratto firmato con il notaio – una farsa questa – sono gigantesche e tutte in linea di contrasto diretto con il tribunale di cui sopra: Unione Europea, mercati finanziari in primis. Senza dimenticare la Nato, circoli massonici deviati, criminalità organizzata. Senza alcun dubbio il cuore del «cambiamento» - altra definizione oscena – non ci sarà in tempi brevi, e di questa impossibilità ad operare il cambiamento verrà data la colpa «ai conti lasciati dai predecessori». E' la tecnica utilizzata dai governi 5s per giustificare la sostanziale uguaglianza tra il loro agire e quello di chi c'era prima di loro. A Torino Chiara Appendino opera di fatto fotocopiando l'attività di chi l'ha preceduta in virtù dell'eredità lasciata da costoro.

Al lavoro per mettere il governo contro il popolo
Ma il popolo italiano non è la cittadinanza torinese: al Sud ci si aspetta operazioni enormi, che vanno in contrapposizione col la fiscalità che si aspetta il Nord. L'Europa vuole i conti in ordine, pensioni ancora più tagliate, la patrimoniale e il taglio del debito pubblico. Il movimento No Tav – che sarà il punto di caduta del governo se non si bloccherà, ben più rischioso di qualsiasi altro nodo programmatico – vuole stoppare i lavori domani: Confindustria, i sindacati, le cooperative del cemento, Macron, la Francia, l'Unione Europea, battono i pugni sul tavolo per andare avanti oggi. E così via. Quella che agli strateghi della comunicazione può essere sembrata una sparata intelligente, la definizione di «avvocato del popolo» è in realtà una trappola gigantesca e pericolosissima. Una trappola dentro cui il nuovo governo verrà spinto, perché se esistono i poteri forti, ed esistono, il loro piano non è quello di creare un conflitto tra l'asse governativo in essere e i soggetti sopracitati, ma mandarlo a scontrarsi direttamente con il popolo. Urge, da parte del nuovo governo, un momento di decantazione del conflitto, perché il popolo è carico come mai prima. Aspetta l'inverarsi di tutto, in tempi immediati e con la facilità di un semplice tocco magico. A meno che il nuovo governo voglia puntare sulla piazza e andare allo scontro totale: ma questo è un altro discorso.