19 aprile 2024
Aggiornato 14:30
Immigrazione

Migranti, dall'Ue sostegno alla «strategia Minniti». Ma la solidarietà all'Italia è ancora tutta apparente

Anche in Europa la "linea Minniti" sembra aver raccolto il sostegno della Commissione. Ma dietro all'apparente unità, si celano ancora molti nodi da sciogliere, specialmente sui fondi per l'Africa e sulla riforma del regolamento di Dublino

Il ministro dell'Interno Marco Minniti
Il ministro dell'Interno Marco Minniti Foto: Giuseppe Lami ANSA

ROMA - Anche in Europa la «linea Minniti» sembra aver prevalso. Sostegno alle recenti iniziative del Governo italiano di controllo dei flussi è stato infatti espresso da Commissione, Presidenza estone, Germania, Francia e altri Stati membri al Consiglio Interni della Ue. Piena approvazione dunque della strategia del titolare del Viminale per bloccare le partenze, nonostante le critiche giunte dalle organizzazioni umanitarie. Restano sullo sfondo, dunque, le notizie diffuse dai media libici a proposito delle critiche giunte da alcuni funzionari britannici e francesi in occasione di un loro incontro con alcuni capi tribù libici; sempre sullo sfondo, le inchieste-bomba di Reuters e Associated Press secondo cui l'Italia starebbe trattando direttamente con milizie coinvolte nel traffico di esseri umani. La linea ufficiale dell'Ue resta quella del sostegno incondizionato (almeno a parole) all'Italia.

Sostegno alla strategia Minniti
Il commissario Ue Dimitris Avramopoulos, rispondendo proprio sul finanziamento delle milizie in Libia, ha spiegato che il calo degli sbarchi «è frutto di una cooperazione ben coordinata con i Paesi della regione, e il ruolo di pioniere dell’Italia, col ministro Minniti. Tutto - ha aggiunto - è stato fatto nella chiarezza e nella trasparenza, non ci sono stati canali nascosti o negoziati dietro le quinte». Il Commissario ha ribadito che ora «occorrono i contributi al Fondo per l’Africa; dobbiamo migliorare le condizioni ed i diritti umani nei centri in Libia che sono inaccettabili; dobbiamo continuare a rafforzare le capacità dei guardacoste libici ed in parallelo continuare a lavorare per la stabilità del Paese. Tra due settimane presenterò proposte su come innalzare la gestione migratoria al prossimo livello».

Avramopoulos: ripristinare Schengen
Ma dietro questa apparente univocità si celano ancora diversi nodi irrisolti. Uno riguarda la politica comune europea sull'immigrazione, che sembra fare scarsissimi passi avanti nella direzione della solidarietà. Nelle scorse ore, la cancelliera Angela Merkel si è opposta all'invito del commissario Avramopoulos di ripristinare il normale funzionamento di Schengen, sospeso da molti Paesi a seguito della crisi migratoria e della minaccia terroristica. «Le principali, e giustificate, ragioni per prorogare i controlli alle frontiere interne non ci sono più, ma ne discuteremo con i ministri. Credo sia il momento di ritornare al funzionamento normale di Schengen", ha detto il Commissario.

Chi non vuole Schengen
La settimana scorsa, cinque Stati membri dell'area di Schengen (Austria, Danimarca, Francia, Germania e Norvegia) che hanno reintrodotto i controlli alle persone alle frontiere interne (la Francia dal novembre 2015, gli altri da maggio 2016) a causa della minaccia terroristica o della crisi migratoria, hanno chiesto di modificare le attuali norme che concedono di poter prorogare i controlli, con rinnovi successivi, fino a un periodo massimo di due anni. Allo stato attuale, tutti i controlli temporanei reintrodotti alle frontiere interne dovrebbero essere rimossi a novembre. Secondo i paesi richiedenti, il periodo massimo di due anni previsto oggi non è adeguato «alla natura di lungo termine della minaccia terroristica», e al suo carattere particolarmente grave.

Articolo 25
Nella loro richiesta, contenuta in un «non paper» del 5 settembre scorso, i cinque Paesi chiedono di emendare in particolare l'articolo 25 del «Codice delle frontiere di Schengen», consentendo di prorogare i controlli per ulteriori due anni, dopo il primo periodo, per un totale complessivo di quattro anni, e comunque sempre in base a motivi giustificati e rispettando il criterio di proporzionalità.

Gentiloni: prima di Schengen modificare Dublino
Nel frattempo, dalla Grecia il premier Paolo Gentiloni ha fatto appello all'Ue perché, prima di emendare Schengen, si occupi della promessa modifica del regolamento di Dublino, che obbliga i richiedenti asilo a fermarsi nel primo Paese di arrivo. Fino ad ora, l'impegno preso dall'Ue in questo senso è rimasta lettera morta, e, in ogni caso, le prime bozze circolate dimostrano come non ci sia la reale volontà di modificare significativamente il meccanismo che svantaggia i Paesi di sbarco come Italia e Grecia.

Fondi in Africa insufficienti
L'unità ostentata a proposito della strategia Minniti, dunque, nasconde ancora tanti nodi da sciogliere. Tra questi, quello che riguarda i fondi da stanziare per l'Africa. Presidenza estone, Commissione Ue e Italia hanno rivolto un appello per maggiori contributi degli Stati membri al Fondo per l’Africa. Nonostante gli impegni presi nei mesi scorsi, infatti, Spagna e Francia hanno versato, rispettivamente, solo tre milioni di euro al Fondo Ue per l’Africa. La Germania è al secondo posto tra i paesi che contribuiscono al finanziamento, con 13 milioni. L’Italia è il paese che ha versato di più: 82 milioni.

Maggior coinvolgimento di Unhcr e Oim in Libia 
Infine, è stata ribadita la necessità di un maggiore ruolo di Unhcr e Oim in Libia per migliorare capacità e condizioni di accoglienza, anche attraverso il coinvolgimento delle Ong. Domani il nodo del miglioramento di queste condizioni sarà sul tavolo del Comitato italo-libico, che si riunirà in mattinata al Viminale. L’obiettivo è fare in modo che nel Paese nordafricano si creino le condizioni di sicurezza per consentire al personale delle agenzie umanitarie di tornare a operare sul territorio.