Codice Antimafia, la riforma del Pd è un compromesso al ribasso
Il Pd del duo Renzi-Gentiloni potrà vantarsi di aver portato a casa la riforma del Codice Antimafia, ma il risultato politico effettivo, come già avvenuto in altri casi, è piuttosto discutibile. Ecco perché
ROMA - Il Pd di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni potrà vantarsi di aver portato a casa la riforma del Codice Antimafia, ma, esattamente come è avvenuto per la legge anticorruzione e per la legge sulla tortura, il risultato politico effettivo è piuttosto discutibile. Soprattutto perché il Partito Democratico all'ultimo minuto ha presentato in Aula - e non in Commissione, dove per 3 anni è stato discusso il provvedimento - un emendamento finisce per depotenzia il testo e sacrifica diversi elementi positivi che aveva la versione originaria.
Il modus operandi del Pd
Un modus operandi abbastanza tipico del PD, visto che quanto è avvenuto ricorda tanto la performance dei dem nel 2015 con la legge anticorruzione, nonché con il voto di scambio politico-mafioso. Uno degli elementi più contestati, ad esempio, è stato l'inserimento del vincolo associativo per l'attuazione delle misure preventive come i sequestri o gli obblighi di soggiorno. Misure che, secondo i critici - come il Movimento Cinque Stelle - avrebbero dovuto riguardare anche i singoli corrotti indiziati per tangenti, visto che il vincolo associativo, nei reati contro la pubblica amministrazione, «non viene contestato neanche nei processi penali, figuriamoci nell'applicazione delle misure di prevenzione», scrive Grillo sul suo blog.
L'ennesima occasione mancata
In effetti, la maggior parte dei processi viene celebrata per corruzione, più che per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione. Quindi - sostengono i Cinque Stelle - la presenza del vincolo associativo non fa altro che rendere inapplicabile la norma, mettendo di fatto in pericolo l'applicazione delle misure preventive. Come per la legge anticorruzione, l'ennesima occasione mancata?
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