La mafia ci protegge dall'Isis? No, ci fa affari
C'è chi ha sostenuto che la mafia agisca a protezione delle terre italiche da infiltrazioni terroristiche. E invece, è sempre più evidente che mafie e jihadisti, nel Sud Italia, fanno affari d'oro
ROMA - Risale allo scorso anno il dibattito in merito al presunto ruolo della mafia nel «proteggere» il Sud Italia dai terroristi islamici. Un dibattito stimolato dalla pubblicazione, da parte di alcuni media, di articoli in cui si sosteneva che il Meridione del Belpaese fosse paradossalmente meno a rischio di infiltrazioni terroristiche per la presenza di «mafia e malavita», che «sorveglia o addirittura gestisce il territorio». Dove non arriva lo Stato - questa sarebbe la cultura di riferimento - arriva insomma la longa manus dei malavitosi. Addirittura Claudio Fava, vicepresidente della Commissione Parlamentare Antimafia, aveva dichiarato di non essere stupito dall'eventualità che «la Sicilia possa essere considerata fuori dal rischio di infiltrazioni dello Stato Islamico per la presenza della mafia», aggiungendo però che questo tipo di terrorismo è «talmente liquido» che «non ha alcuna possibilità di prevedibilità».
La mafia ci protegge dall'Isis? No, ci fa affari
La mafia, dunque, ci «protegge» davvero dall'Isis? E' merito suo, come dice qualcuno, se in Italia non è accaduto quello che è successo, ad esempio, a Parigi o a Bruxelles? Non sembra. Anzi, tutt'altro: perché la mafia, con i terroristi, fa affari d'oro. Lo dimostra una clamorosa inchiesta, pubblicata dalla Stampa, di Domenico Quirico, il giornalista rapito in Libia nel 2013 e liberato dopo 5 mesi di detenzione. Il panorama è quello del noto traffico di opere d'arte - oltre al petrolio - con cui Daesh ormai da anni si finanzia. Un traffico, peraltro uno dei più remunerativi, che per vie traverse porta i tesori orientali fino ai compratori occidentali e non solo. L'Isis, infatti, in questo traffico si serve di formazioni criminali come la 'ndrangheta calabrese o la criminalità russa, che procurano le armi con cui gli oggetti d'arte vengono scambiati, o quella cinese, che cura il trasporto delle merci.
Dalle aree controllate da terroristi e da «islamisti moderati» nostri alleati
Quirico ha tastato con mano i risvolti di questo traffico internazionale, spacciandosi per un compratore di reperti archeologici e venendo così in contatto, a Vietri sul Mare, proprio dove inizia l’autostrada Napoli-Reggio, con un uomo dell’organizzazione calabrese. I tesori provengono da Sabrata e Cirene, insieme alla libica Neapolis - la romana Leptis Magna -, tutti luoghi controllati, oggi o in passato, dai terroristi, ma anche dagli islamisti cosiddetti «moderati» di Misurata, quelli legati ai Fratelli Musulmani a cui l’Occidente sembra riconoscere in tanti contesti un ruolo di alleati affidabili nella lotta al Califfato. Le cifre sono diverse: 60mila euro per la statua di un imperatore, «molto meno» per un cammeo con la testa di Augusto, fino a 800mila per una testa ciclopica di divinità greca.
Destinazioni
La merce trafugata dalla Libia e dal Medio Oriente arriva dunque a Gioia Tauro, per aggirare i controlli più stringenti e severi attuati a Napoli; i reperti mediorientali sono mediamente più costosi di quelli nordafricani. Il mercato è estremamente ramificato, con risvolti inauditi: l’emissario avvicinato da Quirico parla anche di musei e «attori americani». Ma le destinazioni principali rimangono Russia, Emirati Arabi, Cina e Giappone.
Gli affari della mafia nel campo dell'arte
Il traffico di opere d’arte è, in generale, un campo sempre più fertile per gli affari della criminalità organizzata. Per investire e far fruttare i soldi derivati dal traffico di droga e dalle estorsioni, da alcuni anni non è raro che i boss della ‘ndrangheta scelgano le opere d’arte. Si pensi alla «Operazione Metallica», nel 2008, che ha scoperchiato per la prima volta un massiccio traffico di quadri d’autore di grande valore gestito da un’organizzazione criminale. Le opere sono state ritrovate in abitazioni e gallerie a Milano e a Padova. Quadri di altissimo livello: due erano Modigliani, rivenduti con un meccanismo lineare che seguiva in gran parte canali leciti.
Mafia e terrorismo, una partnership solida?
E’ però questa la prima volta che un’inchiesta accende i riflettori su un traffico di reperti archeologici di origine orientale che unisce l’Isis alla mafia nostrana. Non che non esistessero sospetti (e anche di più) che i terroristi islamici potessero entrare in contatto con le organizzazioni di stampo mafioso per portare avanti i propri affari. Sospetti che smentiscono, dunque, quella «vox populi» soprariportata che vedrebbe, nella mafia, un baluardo di difesa dalle infiltrazioni terroristiche.
Gli Usa già sapevano
Nel 2004, ad esempio, l'allora procuratore nazionale Antimafia Pier Luigi Vigna avvertì che potevano esistere dei «legami» tra «gruppi che definiamo di criminalità mafiosa» e i «terroristi islamici». Una circostanza già nota, tra l’altro, agli Usa, dato che nei cablogrammi del Dipartimento di Stato americano, pubblicati nel 2010 da Wikileaks, si evidenziava come le tre mafie italiane potessero in qualche modo «aiutare gruppi terroristici in Colombia e Afghanistan attraverso il traffico di droga».
'Ndrangheta alleato dei terroristi per droga e armi
Ancora, il procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero de Raho, intervistato nel 2015 da Linkiesta, spiegava che, pur non emergendo al momento sistematici «collegamenti tra 'ndrangheta e terroristi», «il terrorismo internazionale troverebbe nella 'ndrangheta un alleato particolarmente utile, sia per le coperture dal punto di vista territoriale sia per il tornaconto che la stessa 'ndrangheta potrebbe avere per le forniture di droga e armi».
Mafie e terrorismo storicamente alleati
Su questa linea anche il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Franco Roberti, secondo cui la storia insegna come terrorismo e mafia si siano storicamente autoalimentati e addirittura supportati vicendevolmente. Non a caso, fu proprio nei famosi Anni di Piombo che le mafie crebbero esponenzialmente nel nostro Paese. E anche oggi, secondo Roberti, le organizzazioni nostrane sono ben disposte a fare affari con soggetti terroristici esterni, soprattutto quando si parla di armi e droga.
Casalesi e terrorismo internazionale
Alcune evidenze vengono poi dalla cronaca: si pensi alla recente inchiesta della DDA di Napoli, che ha portato alla luce un traffico di armi destinate a Paesi africani dove sono in corso conflitti. Nel corso delle indagini - riportano le cronache - sarebbe anche emerso il coinvolgimento della Camorra, in particolare il clan dei Casalesi e contatti con ambienti del terrorismo internazionale.
Tra jihad e Camorra
Nel marzo scorso, Aziz Ehsan, un quarantaseienne iracheno, è stato poi arrestato a Castel Volturno perché ritenuto una tessera di contatto tra la Camorra napoletana e il terrorismo internazionale. Il sospetto degli inquirenti è che Ehsan lavorasse con la Camorra per comprare documenti falsi o armi illegali, proprio quel genere di affari gestito dai clan napoletani.
Arsenale d'armi dalla mafia ai terroristi
Del resto, l’Antimafia italiana negli ultimi 12 mesi o poco più ha eseguito tre principali operazioni durante le quali sono stati confiscati arsenali pieni di armi tra cui kalashnikov, fucili mitragliatori, giubbotti antiproiettile e centinaia di pezzi di munizioni, pronti per essere venduti ai collegamenti dei terroristi. È stato trovato anche un listino prezzi, scritto in arabo, francese e italiano, per una vasta gamma di armi disponibili a prezzi che vanno da 250 a 3000 euro. Michele Del Prete, un funzionario dell’antiterrorismo italiano che studia i legami tra criminalità organizzata e jihadisti violenti, parla, a proposito di queste due realtà, di «una comoda partnership». «È chiaro e comprovato che il clima fuorilegge di Napoli spesso ha creato condizioni favorevoli sia per un supporto logistico che per il passaggio di armi e di documenti falsi. Ci sono gruppi specializzati che abbiamo monitorato in vari comuni e prefetture di cui sappiamo che vengono utilizzati dal terrorismo».
Campania: uno dei principali punti di ingresso in Europa per aspiranti terroristi
Del Prete ha addirittura aggiunto che «la Campania, in particolare nelle aree di Caserta e di Castel Volturno, è uno dei principali punti di entrata in l’Europa per chi vuole diventare terrorista». In questo quadro fosco, oggi si aggiunge una nuova tessera del mosaico: terroristi e mafiosi che scambiano, nel Sud Italia, reperti archeologici trafugati in Medio Oriente e Nord Africa in cambio di armi. A dimostrazione che la mafia non solo non ci protegge dai terroristi, ma con questi ultimi, addirittura, fa affari d’oro.
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