Pinotti in Arabia Saudita. L'Italia «ripudia la guerra» ma non i contratti militari?
Amnesty International ha acceso i riflettori sulla visita del ministro Pinotti in Arabia Saudita, ipotizzando che al centro vi fosse l'export di armi. Ma il Ministro ha smentito
ROMA - Nessun comunicato ufficiale da parte del ministero della Difesa; poco scalpore sui media nazionali, finché non ci ha pensato la filiale italiana di Amnesty International ad accendere i riflettori sulla questione. Perché il ministro della Difesa Roberta Pinotti, nelle scorse ore, si è recata in Arabia Saudita per incontri di alto livello. Secondo i media sauditi, la ministra è stata ricevuta il 4 ottobre dal Re saudita Salman e successivamente dal Vice principe ereditario e Ministro della Difesa, Muhammad Bin Salman.
Dal politichese alle parole povere
L'argomento ufficiale dei colloqui sono stati «le modalità per rafforzare le relazioni bilaterali» e «i recenti sviluppi sulla scena regionale ed internazionale». Ma anche «le modalità per migliorare le relazioni bilaterali, soprattutto nel settore della difesa». Tutte formule estremamente vaghe e profondamente rispettose del «politically correct», se solo non sapessimo di quale inguardabile alleato dell'Occidente stiamo parlando. Perché Riad è la stessa che da più di un anno bombarda lo Yemen nel silenzio della comunità internazionale, che fomenta i conflitti mediorientali spesso a favore dei fondamentalisti e che, in patria, dispregia totalmente il rispetto dei diritti umani.
Contratti militari
Scendendo un po' più nel dettaglio, al centro di questi colloqui ci sarebbero stati «contratti navali», probabilmente attinente al campo militare - come ipotizza Amnesty - visto che, a discuterli, sono stati due ministri della Difesa. La delegazione italiana sarebbe stata composta dal Segretario Generale della Difesa e Direttore Nazionale degli Armamenti, e dal Generale di Squadra Aerea. Ma al Fatto Quotidiano che le ha chiesto conto del suo viaggio in Arabia Saudita, Pinotti ha risposto che «il ministro della Difesa non si occupa di export di armi». Il Ministro ha ribadito, in risposta a un'interrogazione del Movimento Cinque Stelle, che nessun intento commerciale si celava dietro la sua recente visita nel Regno. Ma ha anche ribadito che «L’Arabia Saudita non è oggetto di alcuna forma di embargo, sanzione o restrizione internazionale, ONU o di Unione europea, nel settore delle vendite di materiale e di armamento».
Alleato controverso
Un chiarimento dovuto, visto che non è un mistero che Riad sia un partner, per l'Occidente, decisamente controverso. Da marzo dell'anno scorso, si è posta a capo di una coalizione militare che, senza alcuna legittimazione da parte delle Nazioni Unite, è intervenuta nel conflitto in Yemen con pesanti bombardamenti anche sulle zone civili, tra cui strutture sanitarie di Medici senza Frontiere.
Rapporti economici fiorenti
Ma i rapporti economici di Roma con Riad sono privilegiati e, agli occhi di chi ci governa, da salvaguardare ad ogni costo. L’Italia è, tra i Paesi Ue, il terzo partner economico del regno dei Saud. Secondo un'elaborazione ICE sui dati Istat, nel 2014, Roma ha esportato merci verso Riad per un valore di 4.8 mld di euro, segnando un incremento del 7.1% rispetto all’anno precedente.
L'export delle armi made in Italy
E tra i business più remunerativi - neanche a dirlo - figurano le armi. Secondo i dati indicati nella Relazione sulle operazioni autorizzate di controllo materiale di armamento 2015, l’export militare italiano supera gli 8 miliardi di euro, con una crescita, rispetto al 2014, del 186%. Il volume di vendite autorizzato verso l’Arabia Saudita è salito a 258 milioni dai 163 del 2014, cioè del 58%.
Nonostante leggi nazionali e internazionali
Il tutto, nonostante esista uno specifico trattato delle Nazioni Unite che esplicitamente vieta ogni esportazione bellica, di armi sia pesanti che leggere verso Paesi che potrebbero usarle in violazione dei diritti umani. Il Trattato in questione è entrato in vigore nel dicembre 2014, e, nonostante si sia trattato di un enorme successo diplomatico, è stato accompagnato - ancora una volta - dall'assoluto riserbo della Farnesina. Forse perché l'Italia, che pure ha un'ottima legislazione in materia, la applica per così dire, «alla carlona». E perché il nostro Parlamento, come più volte denunciato dalla Rete per il Disarmo, da anni non rispetta il suo compito di esercitare uno stretto controllo sulle relazioni governative annuali sull'export militare.
Disprezzo per i diritti umani
E che l'Arabia Saudita sia annoverabile tra i Paesi che «violano i diritti umani» è provato da numerosissimi rapporti. Ma anche su questo punto le Nazioni Unite sono latitanti. Perché, la scorsa settimana, a seguito delle pressioni di Riad, il Consiglio dell'Onu per i diritti umani non ha accolto la proposta di una commissione internazionale indipendente d'inchiesta sulle violazioni del diritto umanitario in Yemen.
La catastrofe dello Yemen
L'indagine era stata richiesta dall'Alto commissario per i diritti umani, il principe Zeid bin Ra'ad Al Hussein. Fatto ancora più grave, la richiesta era inizialmente stata sostenuta dai Paesi dell'Unione europea, tra cui l'Italia, ma poi ritirata dall'Ue senza alcuna motivazione apparente. Il Consiglio dell'Onu per i diritti umani ha dovuto pertanto accettare la proposta, sostenuta da un gruppo di Paesi arabi, di una inchiesta da parte delle autorità yemenite. Secondo le Nazioni Unite, più del 60% delle vittime tra i civili yemeniti, che ammontano ad oltre 3.800 morti, sarebbero stati causati dai bombardamenti indiscriminati della coalizione saudita.
L'Italia che non ripudia i contratti militari
Non a caso, lo scorso febbraio il Parlamento Europeo ha votato con ampia maggioranza una risoluzione in cui chiedeva all'Alta rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Federica Mogherini di «avviare un'iniziativa finalizzata all'imposizione da parte dell'UE di un embargo sulle armi nei confronti dell'Arabia Saudita». Questo, proprio alla luce della situazione in Yemen e del continuo rilascio di licenze di vendita di armi all'Arabia Saudita, in violazione della posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio dell'8 dicembre 2008. L'Italia, verrebbe insomma da dire, ripudia la guerra ma non dispregia i contratti militari, neppure con Stati canaglia.