19 aprile 2024
Aggiornato 08:30
Così (non) funzionerà palazzo Madama

Ma quanto è brutto il nuovo Senato firmato Matteo Renzi

Invece di abolirla semplicemente, il premier creerà un'istituzione ancora più inutile di quella attuale, ma altrettanto costosa. Perché a interessargli davvero non sono le riforme, ma la sua personale guerra contro gli oppositori

ROMA – Anche stavolta Matteo Renzi l'ha sfangata. Grazie ai transfughi verdiniani venuti via con poco da Forza Italia, e ai ribelli di cartone del Partito democratico tornati ad obbedire alla prima minaccia di elezioni anticipate, questa maggioranza che sta su con lo sputo riuscirà a non far cadere il governo, approvando la sua riforma del Senato. Al di là dei vuoti giochetti parlamentari, però, quello che molti italiani ora vorrebbero capire è che aspetto avrà il quadro delle istituzioni ridisegnato da Renzi. Ebbene, per farla breve, sarà un casino da far impallidire le tele cubiste di Picasso. Intanto, come già accaduto con l'Italicum, questa riforma non servirà a permettere agli italiani di tornare ad eleggere i propri rappresentanti. Come alla Camera la maggior parte dei deputati continuerà ad essere nominato dai segretari di partito, al Senato la scelta spetterà invece ai Consigli regionali, che pescheranno i senatori tra le loro file: e, vista la quantità di scandali e ruberie scoperte al loro interno in questi anni, questo dettaglio non ci rassicura molto. La minoranza del Pd, che aveva promesso le barricate per salvaguardare la democrazia, ci vuole spacciare come grande vittoria l'aggiunta di una semplice frasetta: «In conformità alle scelte espresse dagli elettori». Ma non solo il modo in cui avverranno queste presunte scelte è ancora tutto da chiarire: oltretutto l'ultima parola spetterà sempre e comunque alle Regioni, con buona pace dei cittadini italiani.

Inutile ma costoso
Tutto questo affanno per risparmiare lo stipendio degli attuali 315 senatori, un gruzzoletto intorno ai 50 milioni di euro all'anno. Fanno sempre comodo, s'intende: ma il grosso dei costi del Senato, che complessivamente ammontano a 540 milioni (circa un quinto dei 2,5 miliardi di spesa annuale per l'intera politica italiana), di cui 98 solo per gli stipendi dei dipendenti, continueremo a sborsarlo. Per pagare un'istituzione che sostanzialmente si occuperà soltanto delle briciole lasciate sul piatto dai colleghi della Camera: qualche leggina in tema di Europa, enti locali e pubblica amministrazione. Bazzecole, insomma. Dal bicameralismo perfetto passeremo al monocameralismo imperfetto. Ma se Matteo Renzi era davvero convinto che il Senato non servisse a nulla (e su questo, una volta tanto, potremmo anche concordare con lui), perché invece di inventarsi questo pastrocchio incomprensibile non l'ha semplicemente cancellato e buonanotte a tutti? Perché il nostro premier è un fine tattico, ma un pessimo stratega. Non gli interessava davvero l'abolizione del Senato, così come non gli interessava l'abolizione delle province (che infatti sono rimaste in piedi, solo che non le eleggiamo più noi cittadini). Quello che davvero gli importava era solo incassare un'altra vittoria personale sui suoi oppositori. Dimostrare di averlo più lungo, se perdonate il francesismo. In cambio noi italiani ci ritroveremo con un Parlamento, se possibile, ancora più incasinato e inconcludente di quello attuale, oltre che antidemocratico. Sempre che Renzi incassi anche la prossima vittoria: perché, prima di entrare in vigore, la riforma dovrà essere sottoposta a referendum entro il prossimo anno. Stavolta si troverà contro non quegli smidollati della minoranza Pd, ma tutti gli elettori italiani. E vincere, per lui, potrebbe essere più difficile. D'altronde con le elezioni Matteo Renzi non ha mai avuto particolare familiarità...