Ma in Italia avremmo avuto il coraggio del «no»?
Se il referendum si fosse svolto nel nostro Paese, al contrario che in Grecia, secondo i sondaggi avrebbe vinto il «sì». Prevalgono ancora gli interessi personali, insomma, mentre dalla crisi si può uscire soltanto tutti insieme
ROMA – Passata la sbornia del referendum, da oggi Grecia e Unione europea ricominceranno a trattare. Lo avrebbero fatto comunque, qualsiasi fosse stato il risultato delle urne. Ciò non significa, però, che la consultazione sia stata inutile. Al contrario, il solo fatto di convocarla (e ancor più, naturalmente, la vittoria del «no») è stato un atto epocale, come ho già sostenuto nei giorni scorsi: per la prima volta, infatti, i cittadini sono stati chiamati ad esprimere il proprio parere su di un aspetto veramente decisivo della politica continentale. E se si dovesse votare anche in Italia? Se, in un improbabile rigurgito di indipendenza dai potenti di Bruxelles, fosse il nostro governo a chiederci di esprimerci? Avremmo rischiato così come hanno rischiato i greci? Questa domanda se l'è posta qualche giorno fa il Corriere della sera, che ha chiesto al noto sondaggista Nando Pagnoncelli di testare gli umori degli italiani in merito. L'esito è stato sorprendentemente (ma non troppo) simile a quello degli analoghi sondaggi che in quelle stesse ore si stavano conducendo ad Atene: una vittoria del «sì» all'Unione, ma risicatissima (51%).
Mettersi in gioco
E a votare «nai» (ovvero «sì») non sono stati certo quei tanti, troppi ellenici poverissimi che non avevano nulla da perdere, per i quali avere in tasca zero euro o zero dracme non fa poi tutta questa differenza. Ma una parte della classe media, quella che ha conservato il proprio personale tesoretto, pur sempre più misero, e intende difenderlo a tutti i costi. In Italia come in Grecia, nella fascia più attiva, produttiva e consistente della popolazione prevale ancora la conservazione sulla rivoluzione. La paura sulla voglia di cambiare. Prevengo le obiezioni. Nessuno vuole chiedere a dei padri di famiglia che hanno lavorato per tutta una vita di rinunciare a quelle piccole rendite che hanno costruito con fatica, per garantire a sé e ai propri cari il minimo sindacale di serenità futura. Il punto è che anche loro si meritano di meglio, come del resto tutta l'Italia e l'Europa. E per migliorare le cose bisogna cambiarle. E per cambiarle bisogna mettersi in gioco, con coraggio. A Roma come a Bruxelles come ad Atene, dalla crisi si può uscire solo tutti insieme, superando gli steccati che dividono i nostri piccoli orticelli per gettare lo sguardo verso il bene comune. Che non è un vuoto concetto filosofico, ma significa il bene di tutti. Quindi anche il nostro.
Usciamo dall'orticello
Questa considerazione apparentemente banale è valida a tutti i livelli. In Europa, dove gli Stati mediterranei dovrebbero coalizzarsi per far valere la propria forza d'urto contro l'egoismo di una Merkel che ci impone austerità e non ci aiuta con gli immigrati. In Italia, dove i nostri politici dovrebbero fare fronte comune per chiedere un cambiamento dell'Unione, in cui contino di più le esigenze dei popoli rispetto a quelle delle lobby, ma continuano a gridarsi addosso pur di guadagnare uno 0,5% di consenso. E, naturalmente, anche nel nostro piccolo, a partire dal rispetto delle regole e degli altri. Questo è il senso di una vera Ue: Unione, non solo europea. Perché il primo nemico del cambiamento dell'Europa, che a parole tutti dichiariamo di volere, prima ancora della Merkel, prima ancora delle lobby, sono stati quei cittadini che non hanno mai guardato oltre il loro naso. Che hanno votato solo un anno fa al 40% un partito succube della Germania per rappresentarci all'Europarlamento, in cambio di un'elemosina da 80 euro (poi prontamente ripresa indietro subito dopo le elezioni). Non arriverà un uomo della provvidenza (né Renzi né Salvini né Grillo né altri) a farci uscire dalla palude: dovremo rimboccarci le maniche da soli, con coraggio e unità. Perché se ci limiteremo a difendere i confini del nostro piccolo orticello per paura di dovervi rinunciare oggi, sotto i colpi delle tasse e della burocrazia finiremo comunque per perderlo domani.
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