20 aprile 2024
Aggiornato 01:00
FdI sul referendum greco

«Basta prendere ordini dalla Merkel come fa Renzi»

Alla vigilia del referendum greco, Giorgia Meloni denuncia gli «inchini» di Matteo Renzi alla cancelliera tedesca e sostiene il «No» ai banchieri usurai. Un «no» che è anche una bocciatura netta alla gestione dell'Europa

ROMA - «Voterei no, non c'è dubbio». In un'intervista rilasciata a Enrico Paoli di LiberoQuotidiano, Giorgia Meloni esprime la sua posizione rispetto al referendum greco. Sostiene il «No» di Alexis Tsipras, il presidente di Fratelli d'Italia, che si dice disposto a volare ad Atene come «segno di attenzione» nei confronti delle difficoltà che il popolo greco si trova ad affrontare; oltre ad essere un segno di «rispetto» verso quegli europei convinti che l'Europa appartenga ancora a loro e «non solo ai comitati di affari e agli usurai».

Votare «No» per bocciare l'Europa
La risposta della Grecia, a detta di Meloni, dovrebbe essere quella di un rifiuto delle dinamiche che hanno portato il Paese al collasso: in disaccordo con la politica di sinistra di Alexis Tsipras, Meloni sottolinea però che dal referendum dovrebbe emergere il «No» a quell'Europa di burocrati e banchieri usurai che ha segnato il tracollo della Grecia. Come evidenzia la leader di FdI, si sarebbe dovuto evitare di giungere alla soluzione referendaria, poiché, «in ogni caso, si tratta di una sconfitta». Giorgia Meloni commenta il suo «No» e spiega che il referendum della Grecia, oltre a segnare il destino del Paese all'interno dell'Unione, è anche una valutazione sulla «gestione dell'Europa». A tenere le redini di quest'Europa sono lobby e interessi egoistici dei singoli Paesi, spiega il presidente di FdI-An, «a partire dalla Germania». Votare «No» significa, quindi, «bocciare tutto questo».

Le colpe della Germania
A proposito della Germania e della cancelliera Angela Merkel, Giorgia Meloni denuncia come il leader tedesco – con cui quotidianamente i big eurepei devono avere a che fare – non fa altro che portare avanti gli interessi del proprio Paese, «non lavora affatto per il bene dell'Europa». Nell'intento di salvaguardare il tornaconto tedesco, la cancelliera «fa benissimo il suo lavoro», ma il problema, secondo Meloni, non è questo. Piuttosto, perché mai gli altri leader europei dovrebbero «prendere ordini» da chi persegue interessi diversi rispetto a quelli comuni dell'Unione europea? Meloni punta il dito contro il presidente del Consiglio Matteo Renzi quando afferma che, nel caso specifico della Grecia, l'atteggiamento del premier è da considerarsi «simbolicamente ridicolo». Teoria confermata anche dall'economista Jean-Paul Fitoussi, che avrebbe considerato Renzi «una mezza figura» nel panorama europeo.

Gli inchini di Renzi
Continua la critica aspra a Renzi e ai suoi «inchini» alla cancelliera. In settimana il premier, facendosi sostituire in Parlamento dal ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, è volato in Germania dalla Merkel dove è andato a «prendere ordini». È per questo che, secondo il presidente di Fdi-An, il nodo greco non si riduce ad una questione prettamente economica, ma andrebbe ricondotto soprattutto alla sfera politica. Con il referendum greco, è chiaro che in gioco vi sono gli assetti geo-politici dell'Europa: qualora la Grecia di Tsipras dovesse uscire dall'Euro, e quindi dallUe, vi sarebbero irreversibili cambiamenti di natura politica.

Gli interessi sulla Grecia
A cosa si riferisce esattamente Meloni? È evidente che in questo contesto stia giocando un ruolo non secondario la Russia di Vladimir Putin. Il leader russo ha, infatti, dichiarato di essere disponibile a sostenere la Grecia investendo in materia di infrastrutture: «Flotta russa in porto greco», afferma Meloni. Non solo Russia. Anche la Cina ha interessi importanti nella penisola ellenica: il porto del Pireo è controllato dai cinesi e anche Pechino ha dichiarato di essere disponibile ad aiutare Atene. «Secondo me corriamo il serio rischio di veder modificato il quadro europeo, e non solo», spiega Giorgia Meloni, seriamente preoccupata dal fatto che a controllare e gestire la crisi in Europa non siano stati i leader dei Paesi colpiti più duramente, ma l'Eurogruppo.