28 agosto 2025
Aggiornato 00:30
Il costituzionalista sulla legge elettorale

Ceccanti: scontro inevitabile tra due visioni di democrazia parlamentare

La riforma elettorale - l'Italicum - si sta rivelando come una profonda faglia per un terremoto politico causato da due schieramenti di cultura che si scontrano. Questa l'immagine che scaturisce dalla spiegazione data dal professore Stefano Ceccanti, a proposito dello scontro in atto sulla legge elettorale.

ROMA (askanews) - La riforma elettorale - l'Italicum - si sta rivelando come una profonda faglia per un terremoto politico causato da due schieramenti di cultura che si scontrano. E' tutto sommato questa l'immagine che scaturisce dalla spiegazione data dal professore Stefano Ceccanti, docente di diritto costituzionale ed esperto di sistami elettorali, a proposito dello scontro in atto sulla legge elettorale, in particolare dentro al Pd.

Due idee di democrazia
«Al di là di questioni particolari, si stanno scontrando due idee diverse di democrazia parlamentare per cui - afferma il professor Ceccanti - lo scontro, da una parte e dall'altra, ha una sua nobiltà, non è il prodotto di capricci o di individualità troppo decisioniste da una parte o troppo rissose dall'altra. Per gli uni, riallacciandosi all'interpretazione all'inglese che fu data nella prima legislatura repubblicana, quando c'era la maggioranza più omogenea e l'unione personale in De Gasperi di premiership e leadership di partito, il Governo - spiega Ceccanti - è il 'comitato direttivo' della maggioranza che ha anche il diritto-dovere di mettere in gioco la propria esistenza quando vede il rischio politico di snaturamento di un proprio testo. E' quello che spiegava puntualmente Aldo Moro in due interventi in Aula alla Camera sulla legge a premio di maggioranza di allora».

L'orizzonte degli altri
Siamo nel pieno del filone che voi costituzionalisti definite neo-parlamentare con un equilibrio tra governo e parlamento che un ruolo più dinamico del governo. Ma per gli altri qual è il loro orizzonte? «Per gli altri - dice Ceccanti - valgono invece tuttora gli argomenti usati soprattutto da Lelio Basso e dagli altri esponenti delle minoranze di destra e di sinistra contro Moro: non ci può essere, sostennero, una chiara demarcazione maggioranza/minoranze e il Governo è solo il comitato esecutivo del Parlamento; anche se si delinea una maggioranza ciascuna delle sue componenti ha un diritto di veto per cui l'esecutivo, nel senso più restrittivo del termine, può solo recepire passivamente ad esempio lo stravolgimento di una legge. Il suo programma si riduce a un minimo comune denominatore».

Inevitabile il conflitto forte
A ben vedere, sottolinea Ceccanti, «siamo sempre lì, con la differenza che forse soprattutto nel 2015 uno Stato membro dell'Unione non può adottare quella seconda versione che in questi termini non è praticata da tempo da nessuna grande democrazia europea. E' un nodo che ci trasciniamo da allora e che va al di là delle singole norme della riforma. Anche a riforma approvata se si affermasse la seconda visione saremmo daccapo perché dentro la lista vincente basterebbero poco meno di 30 deputati che non accettassero la disciplina di gruppo rispetto a una maggioranza che avesse prevalso nel gioco democratico interno a paralizzare il Governo. Per questo il modo con cui si risolve questo conflitto è importante e per questo è anche inevitabile che il conflitto sia forte».

Nulla di strano nella fiducia
Mettendo da parte le due concezioni di dottrina, le obiezioni che vengono portate riguardano anche le conseguenze istituzionali in tema di garanzie che i nuovi parametri comporterebbero. «Sì, i sostenitori della seconda tesi, anch'essa nobile e seria (per quanto obsoleta) nella loro propaganda - afferma Ceccanti - continuano a ripetere una cosa falsa, che col premio di maggioranza si possano conquistare le istituzioni di garanzia (giudici della Corte di estrazione parlamentare, Presidente della Repubblica, componenti laici del Csm), per le quali il quorum è fissato a tre quinti, ossia, dopo la riforma costituzionale, a 438 voti (sono i tre quinti della somma di 630 deputati e 100 senatori). La lista che vince alla Camera avrà 340 voti, ci arriverebbe a pena (salve le sorprese del voto segreto) se prendesse tutto il Senato, cosa palesemente impossibile». Interrogativi vengono posti anche dai commentatori che non capiscono perché il Governo abbia posto la fiducia dopo che aveva superato brillantemente i primi due voti segreti... «In fondo non c'è niente di strano. Chi si oppone, chi ha una visione del Governo come esecutivo in senso passivo voleva far saltare quella legge, voleva snaturarla in particolare sul premio alla coalizione e non alla lista, e questo con una votazione segreta che veniva dopo e che è stata preclusa dalla fiducia».