18 agosto 2025
Aggiornato 07:00
Pioggia di emendamenti sulla riforma che sbarca in Parlamento

La «buona scuola» è una «cattiva scuola»?

Le opposizioni hanno dichiarato guerra al premier sul provvediemento che nelle intenzioni del governo dovrebbe rilanciare l’Italia, a partire dai giovani.

ROMA -La riforma della scuola è il primo passo per far ripartire l’Italia, partendo dai giovani, come dice Matteo Renzi,  o l’ultimo atto di una serie di danni provocati dai governi precedenti, ma peggiorati dai fatti e dalle intenzioni dell’esecutivo in carica, come denunciano le opposizioni? La riforma della scuola è un esercizio sul quale non c’è stato inquilino di Palazzo Chigi che non abbia provato a cimentarsi, compreso l’ex Cavaliere che non si può certo dire avesse in cima ai propri pensieri il destino dell’insegnamento. Salvo riconoscergli la trovata delle famose tre «I» che costituirono uno degli squilli di tromba più roboanti di una delle sue non poche vittorie elettorali ma che, all’atto pratico, produssero unicamente una bella poltrona da ministro ad un tecnico come Lucio Stanca, che però vantava un curriculum da ex amministratore dell’Ibm Italia.

L’INNOVAZIONE SECONDO L’EX CAVALIERE - Di Stanca non si ricordano segni della sua presenza come ministro. Invece sono rimasti indelebili nella memoria degli italiani i 450 milioni che pretese gli fossero assegnati, oltre allo stipendio da deputato, dopo essere stato nominato a capo dell’Expo 2015. La sua avventura all’Esposizione Universale, che ancora era nella testa di Giove in fatto di realizzazione dei padiglioni e delle infrastrutture, spiaggiò a causa della richiesta di Stanca di alloggiare i suoi uffici in 2300 metri quadri del Palazzo Reale di Milano. Insomma Stanca fece arrabbiare sia Lega che Forza Italia e la sua vicenda all’Expò si esaurì in breve. Dopo questo episodio, di lui si persero le tracce. Non si fermò invece l’opera di Mariastella Gelmini, allora ministro dell’Istruzione, che infatti partorì una riforma. Se oggi si chiede ad un esperto non di parte se quella riforma servì a  qualcosa si riceve quasi sicuramente una alzata di spalle, perché è impossibile dire se fosse efficace o nociva in quanto fu disattesa, annacquata, deformata o rifiutata dalla burocrazia che l’avrebbe dovuta applicare.

LA BUONA SCUOLA DI RENZI - Ora ci risiamo con Renzi e con quella che il premier ha chiamato «la buona scuola». E’ inutile addentrarci in dettagli tecnici perché allo stato attuale è più facile uscire da un labirinto cinquecentesco che venire a capo dei contenuti di quel disegno di legge del governo che sta approdando in questi giorni in Parlamento. E poi anche impossibile addentarci nei meandri delle assunzioni che Renzi va promettendo perché le cifre che invece contrappongono le opposizioni e la Cgil, divergono per decine di migliaia e quindi dall’esterno è impossibile capire chi dice il vero e chi mente: lo scopriremo solo quando l’operazione sarà ultimata e speriamo che non sia troppo tardi. E’ invece possibile soffermarci su un punto, quello del potere che il governo vuole mettere nelle mani dei presidi, ai quali verrà affidato i compito di scegliersi gli insegnati ( salvo quelli attualmente di ruolo) e la facoltà di attribuire un premio a quelli ritenuti più meritevoli. «Dobbiamo introdurre la meritocrazia nelle vene della nostra Italia», ha spiegato Matteo Renzi nei giorni scorsi, parlando agli studenti della Georgetown University. Nella capitale degli Stati Uniti le sue parole sono state accolte come una ovvietà. In Italia sono state accolte invece come l’ultima fregatura che il premier vuole mollare ai suoi concittadini. E’ infatti sono partite immediatamente le manifestazioni all’insegna di uno slogan che sta mettendo d’accordo gran parte delle opposizioni. Lo slogan sbandierato sulle piazze è: «La scuola non è una azienda».

L’AZIENDA E’UN VALORE NEGATIVO?- Ora vorremmo avanzare una obiezione a questa affermazione. E’ vero la scuola non è una azienda. Ma aziende, pubbliche, private, culturali, produttive, grandi, piccole, artigianali, industriali, commerciali, agricole, ecologiche (il resto va sotto il nome di istituzioni) sono anche quelle dove gli studenti dovranno esercitare il sapere appreso nelle aule scolastiche. Siamo quindi sicuri che l’accezione negativa data al termine «azienda» negli slogan urlati nelle piazze per le orecchie compiacenti di tanti nostri ragazzi, sia affettivamente la più giusta, la più calzante, la più istruttiva? Ripetiamo, siamo d’accordo che la scuola non è una azienda. Ma creare una gerarchia, una meritocrazia, nella sua organizzazione, necessariamente deve inficiare la sua alta missione di tempio dove si dispensa e si ricerca il sapere?

GERARCHIA E MERITOCRAZIA - E’ vero che gerarchia e meritocrazia sono elementi indispensabili al buon funzionamento di una azienda, ma quale contenuto negativo osta a che vengano assunti anche in una scuola? Nè è facilmente comprensibile che venga visto come il fumo agli occhi l'innalzamento dei poteri del preside. Potrebbe infatti rivelarsi il modo migliore per richiamare al tempo stesso i presidi ad una maggiore responsabilizzazione. Inoltre i dirigenti scolastici verrebbero sottoposti,nei tempi stabiliti dalle nuove funzioni, ad una periodica valutazione della loro azione. E qui viene il punto: la valutazione. Sarà un caso che le università italiane, forse le uniche al mondo ad essere sottoposte ad una valutazione, occupino gli ultimi posti di tutte classifiche internazionali? L’obiezione che non è nuova, ma risale perlomeno ai 1968, è: ma chi mi dice che chi valuta, chi premia, chi prende decisioni sia in grado di farlo, di non favorire gli amici e i parenti, o punire chi non la pensa come lui? La risposta è, allo stato attuale, nessuno. Ma da che punto partiamo? Da una scuola disastrata e pericolosa anche per i soffitti che i ragazzi hanno sulla testa. Da una scuola dove al preside viene assegnata una vago compito di manager amministrativo, perché non può occuparsi della didattica, non può valutare i suoi insegnanti, cioè è praticamente deresponsabilizzato rispetto a quello che avviene nelle aule. Una scuola nella quale agli insegnati viene attribuito un potere quasi assoluto rispetto ai loro metodi didattici, come compensazione del ricevere uno stipendio da fame.  Una scuola dove la parola «informatica» viene confusa con l’utilizzo della tastiera del computer e la dimestichezza dei ragazzi ad usare tablet e smartphone per giustificare la quasi totale assenza di questa materia nell'insegnamento.

ABBIAMO ESAURITO LA FIDUCIA- Se questo è lo stato delle cose, e lo è, allora non resta che una soluzione: introdurre nuove regole e poi darsi da fare perché vengano applicate come si deve. Il tutto però deve partire dal fidarsi che chi sta lavorando per modificare il sistema lo stia facendo in buona fede e per il bene del Paese. Questa carta di credito può finire in mani inesperte o truffaldine? L’Italia ha gli strumenti necessari per punire severamente chi dovesse abusare di questa fiducia. Inoltre c’è l’esperienza di oltre mezzo secolo a dimostrarci che la mescolanza e l’ambiguità di ruoli, compiti e responsabilità, ci ha solo proiettato ai vertici dei paesi più corrotti, nepotisti e ingiusti del pianeta. Vogliamo lasciare tutto com’è?