20 aprile 2024
Aggiornato 00:30
Il ministro degli Esteri: non solo guerra

Gentiloni: «Nel contrasto all'Isis diverse vie, anche l'intervento armato»

Gli ultimissimi sviluppi in ambito terroristico hanno spinto il ministro degli Affari Esteri, Paolo Gentiloni, a parlare di possibilità di intervento armato nei territori in cui si annidano le cellule terroristiche dello Stato Islamico. Non è l'unica risposta, però, precisa il ministro, che indica anche la via della cooperazione economica, l'aiuto ai rifugiati e la collaborazioni tra università.

ROMA - Cooperazione economica, aiuto ai rifugiati, collaborazioni tra università. La strada per il contrasto al terrorismo è lunga e piena di possibilità di intervento, ma il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, precisa che non si esclude la via dell'intervento armato. «Nell'ambito di questo fenomeno terroristico c'è anche l'opzione militare. Noi siamo già dentro, perché facciamo parte della coalizione militare anti Daesh (Is.)», sipiega il ministro Gentiloni in un'intervista a Radio Anch'io.

INTERVENTO MILITARE NON È UNICA SOLUZIONE - «So benissimo che parlare di opzione militare fa titolo. Noi non dobbiamo anche però immaginare che questa sia l'unica risposta o decisiva», ha continuato il numero uno della Farnesina, aggiungendo, però, che, alla luce di quanto accaduto negli ultimi mesi «oggi nei confronti dei gruppi terroristici noi non possiamo escludere interventi militari non escludo interventi in Nigeria e Libia. Gli interventi, però, devono essere su più terreni, si deve partire dalla cooperazione internazionale, facendo di più». Il messaggio è chiaro, dunque: esistono vie per una risoluzione diplomatica della situazione, ma il contesto attuale esige una riflessione seria sul da farsi che non può escludere l'azione militare.

INTERVENTI SU PIÙ TERRENI - Il nostro Paese, come spiega il ministro degli Esteri, «è già dentro con l'autorizzazione del Parlamento da diversi mesi» a procedere ad un'operazione armata in Iraq e negli altri territori in cui si annida il terrorismo di matrice islamica nell'ambito della coalizione internazionale nata proprio per contrastare la furia dello Stato Islamico. Certo è che l'avversione all'estremismo islamico deve passare anche per canali diversi dalle bombe. Come sottolinea Gentiloni si fanno necessari «interventi su più terreni». In ballo non c'è, infatti, banalmente una guerra all'Occidente e ai suoi valori prevalentemente cristiani: è una guerra, quella dello Stato Islamico, a tutto ciò che non è contemplato nell'islamismo più ortodosso. «All'interno della comunità musulmana – spiega il ministro degli Esteri – c'è un conflitto tra sciiiti e sunniti che noi dobbiamo provare a moderare, non ad alimentare. Quando si dice possiamo fare di più non vuol dire mettere mano alle pistole».

LE ALTRE VIE - Ci si trova dinnanzi ad una situazione tutt'altro che semplice e bisogna partire dal contrasto al «mix di egoismo e ignavia» che investe l'Occidente, pronto a reagire agli ultimissimi attacchi. «Ci sono tante cose da fare prima: cooperazione economica, aiuto ai rifugiati, collaborazioni tra università». Quale la strada da percorrere, quindi? «Ci sono tante cose da fare di più e meglio, superando questo atteggiamento che dice prendiamo il bello del mondo attuale e i rischi li teniamo fuori dalla porta chiudendoci a chiave», afferma il ministro, che continua il suo intervento spiegando che «intervenire contro la persecuzione contro i cristiani, contro tutte le intolleranze contro le minoranze religiose, si deve fare in tanti modi, senza escludere l'opzione militare».

NON SARÀ UNA GUERRA COME QUELLA IN IRAQ E AFGHANISTAN - Alla luce di questa riflessione, il ministro degli Affari esteri non ha potuto fare a meno di ricordare gli interventi militari che hanno caratterizzato gli ultimi decenni e che hanno visto morte e disperazione nei luoghi in cui l'Occidente pretendeva di portare la pace. Quello che il ministro vuole dire è che in questo caso, l'azione militare pensata non andrebbe in quella direzione: lo stato delle cose attualmente è grave e, soprattutto, profondamente dissimile da quello che in passato aveva preteso un intervento armato: «In passato ci sono stati interventi militari che hanno avuto esiti tutt'altro che risolutivi, ma che anzi hanno aggravato la situazione». «Non stiamo parlando di nuove guerre o invasioni come quelle avvenuto in passato, ad esempio, in Iraq», ha continuato il ministro Gentiloni.

EGOISMO E IGNAVIA IN EUROPA - Anche in un'intervista rilasciata al Corriere della Sera, Paolo Gentiloni ha sottolineato la possibilità di vagliare l'ipotesi di un intervento militare. «Per contrastare il terrorismo è inevitabile il risvolto militare. Qualcuno potrà scandalizzarsi, ma questi gruppi vanno affrontati anche sul piano militare», ha affermato Gentiloni, che prende le parole di Papa Francesco a modello per designare un tipo di intervento che non ha nulla a che vedere con quello delle crociate: «Non userò la parola combattere, altrimenti mi ritrovo nei panni del crociato…». Come già accennato, tra i problemi più gravi dell'Europa c'è una persistente indifferenza nei confronti di quanto accade aldilà dei confini: «C’è una gravissima minaccia nei confronti di tanti cristiani in diverse parti del mondo. E bisogna fare di più, da anni c’è un male europeo, quella miscela tra egoismo e ignavia che spinge a voltare lo sguardo dall’altra parte rispetto a ciò che accade oltre il nostro «piccolo mondo antico». Per cui se proponi di intervenire contro il terrorismo fai un errore, se investi in attività di cooperazione e sostegno a favore dei profughi cristiani stai sprecando soldi, se adotti politiche di accoglienza agli immigrati compi una follia», afferma il ministro.

BISOGNA FARE DI PIÙ - Un parallelismo richiama la drammatica vicenda che vent'anni fa ha visto i bosnicaci musulmani trucidati a Srebrenica, massacro di fronte al quale l'Europa tutta tacque: «Quando le truppe guidate da Ratko Mladic massacrarono ottomila bosniaci musulmani a Srebrenica. Ora la persecuzione dei cristiani ci interpella ancora più da vicino perché riguarda la nostra identità e le nostre radici. Dobbiamo fare di più. Non possiamo stare in silenzio. Anzi, occorre dire anche le cose come stanno», continua Gentiloni. Oggi siamo impegnati nella coalizione anti Isis, ma questo non esclude che un domani «si potrebbe valutare l’opportunità di contribuire al contrasto del terrorismo in Libia o di fenomeni come Boko Haram in Nigeria,per esempio. I carabinieri italiani sono impegnati in Somalia per contribuire alla formazione e all’addestramento delle forze armate locali che devono combattere proprio contro i responsabili della strage diGarissa. Insomma, c’è una dimensione militare».