26 aprile 2024
Aggiornato 00:30
La Lega denuncia un'integrazione fatta di promesse insostenibili

Busin: il buonismo può solo partorire «banlieue» e scontri sociali

Integrazione? Una parola impegnativa, un obiettivo difficile da raggiungere. Filippo Busin, deputato della Lega Nord originario del vicentino, spiega al DiariodelWeb.it perché anche nelle ricche province venete l'integrazione è diventata praticamente impossibile. Soprattutto da quando la crisi del 2008 ha tolto il lavoro agli stessi Veneti, e la tensione è salita alle stelle.

ROMA – Integrazione. Se ne parla tanto, talvolta superficialmente, spesso come una parole vuota, un obiettivo impossibile da perseguire. Di certo, quello dell’integrazione rimane un problema aperto, anzi spalancato: e a maggior ragione ora, in un periodo in cui i flussi migratori aumentano di pari passo con la paura di infiltrazioni terroristiche. D’altra parte, non c’è dubbio che, anche nelle province italiane più ricche, l’integrazione rimanga un obiettivo difficile da raggiungere. Dobbiamo temere che il fenomeno delle banlieue francesi, periferie famose per essere state al centro di una grande rivolta di immigrati nel 2005, diventino un fenomeno globale, e che possa riguardare, ad esempio, anche le ricche province venete? Secondo Filippo Busin, deputato della Lega originario di Vicenza, il rischio esiste ed è concreto. «Il rischio è serio perché il veicolo principale e insostituibile dell’integrazione è il lavoro. Il Veneto è stato un eccellente esempio di integrazione perché aveva una straordinaria capacità di assorbire manodopera extracomunitaria e in generale», spiega Busin.

BUSIN: IN VENETO IL LAVORO FU MOTORE DI INTEGRAZIONE - «Un po’ il fatto che l’economia tirasse, un po’ la capacità dei Veneti di fare comunità attorno alla propria economia e questo loro modo di interpretare, secondo un proprio modello, il capitalismo un po’ a sé, hanno in passato favorito l’integrazione, più che in altre zone d’Italia», dichiara il deputato della Lega. «Ma la crisi del 2008 ha influito anche sulla capacità di integrare che abbiamo in questa regione. Il disagio è alimentato dagli arrivi indiscriminati e non controllati, dall’immigrazione gestita malissimo che alimenta il lavoro nero, la delinquenza, lo spaccio e che non trova nessuna possibilità di sostentamento se non quella di rubare».

BASTA POLITICHE BUONISTE SULL'IMMIGRAZIONE - Di conseguenza, «se si unisce a tutto ciò la difficoltà della crisi economica e dei Veneti che hanno perso il lavoro, capiamo benissimo che il problema può diventare una bomba sociale pronta ad esplodere, come è accaduto in Francia, in Norvegia e in altre nazioni sviluppate». Il pericolo sussiste, secondo Busin, e non potrà che aggravarsi «se ci ostiniamo a non gestire il problema dell’immigrazione come stiamo facendo ora, con politiche buoniste ma che non danno nessuna soluzione concreta, è chiaro che ci esponiamo a grandi pericoli», conclude il deputato della Lega.

L’OCSE HA BACCHETTATO L’ITALIA SULL’INTEGRAZIONE - D’altra parte, lo scorso luglio, era giunta la nota dell’Ocse a bacchettare l’Italia in tema di integrazione: pochi rifugiati accolti, pochissimi immigrati impiegati, e nemmeno la «scusante» valida del «non c’è lavoro nemmeno per gli italiani». Già, perché, secondo quella nota dell’Ocse, i nuovi arrivati semmai aspirano a saturare il bisogno di forza lavoro scarsamente qualificata, occupando posti che gli italiani in gran parte rifiutano. Eppure, spesso, i più fortunati – quelli che un’occupazione la trovano – finiscono per lavorare in condizioni di vero e proprio sfruttamento. Rimane innegabile, però, che l’accoglienza costi, soprattutto per i Comuni che devono farsi carico di categorie molto dispendiose: in primis, minori non accompagnati e richiedenti asilo. Per non parlare, poi, delle tensioni sociali che uno scarso livello di integrazione possono scatenare, e che i fatti di Tor Sapienza ben rappresentano. Perché le periferie delle nostre città rischiano sempre di più di diventare terreno di guerre fra poveri, italiani o stranieri che siano.