19 aprile 2024
Aggiornato 00:00
Tosi è l'ultimo di una serie di leader che hanno perso la casa d'origine

Gli usciti dal coro

Follini, Casini, Fini: la storia è piena di politici usciti dal loro partito e poi naufragati. Ora il sindaco di Verona medita di candidarsi alla presidenza del Veneto con una sua lista civica. Anche lui andrà incontro allo stesso destino?

ROMA – In principio fu Marco Follini. Che detiene il curioso record di essere uscito per ben due volte dal coro: nel 2006, quando lasciò il centrodestra e l'Udc (per fondare il suo mai pervenuto movimento politico Italia di mezzo), e nel 2013, quando salutò anche il centrosinistra e il Partito democratico. A quel punto, avendo ormai esaurito le coalizioni disponibili, si rassegnò a non ricandidarsi, mettendo fine alla sua ultratrentennale carriera politica.

Poi fu la volta di Pierferdinando Casini. Dopo quindici anni di alleanza con la Casa delle libertà, la sua rottura definitiva arrivò alle elezioni del 2008. A seguire l'esempio del suo ex segretario Follini, e mollare il suo "centro" di gravità permanente, non ci pensò nemmeno per un secondo: il problema, semmai, era quello di costruirgli attorno una struttura politica solida. I tentativi con la Rosa Bianca prima e con Scelta Civica poi naufragarono nel giro di pochi mesi, senza peraltro aver mai sfondato nemmeno nelle urne. Così, ridotto al lumicino dell'1,74% alle ultime politiche e sbriciolata l'alleanza con Mario Monti, Pierferdy non trovò altra strada che ritornare all'ovile di Silvio Berlusconi. «Io per costruire il centro ho rischiato, ho rotto con Berlusconi e sono passato all’opposizione – dichiarò a Repubblica – Poi ho combattuto accanto a Monti, mettendoci la faccia da solo, mentre Berlusconi e Bersani, che pure governavano con noi, si sono defilati. Ma la sera delle elezioni ci siamo accorti che il nostro terzo polo era evaporato. Anzi, l’aveva fatto Beppe Grillo».

Quindi toccò a Gianfranco Fini, indubbiamente il più celebre degli usciti dal coro. La sua vicenda personale è ormai passata alla storia politica recente: il «che fai, mi cacci?», la scissione di Futuro e libertà, il fallimento della sua mozione di sfiducia al Cav, il pestaggio mediatico del Giornale di Feltri, poi anche per lui il matrimonio politico con Mario Monti. Sfociato in risultati ancora peggiori di quelli di Casini: 0,47% e nessun deputato eletto. Fini compreso. Nell'ultima legislatura, poi, l'uscita dal coro è diventata quasi di moda. Merito di Angelino Alfano con il suo Nuovo Centro Destra (che nel frattempo ha provato a ricucire, almeno in parte, lo strappo da Berlusconi), ma soprattutto del Movimento 5 stelle. Che dei 163 parlamentari eletti, nell'arco di due anni ne ha persi ben 34: tra espulsioni e dimissioni, un vero e proprio cimitero di ex grillini. Dispersi nel frattempo nelle varie componenti del gruppo Misto: le anonime Gap, Ilc o MovX.

Perché è proprio questo il problema di tutti gli usciti dal coro – a parte, forse, quelli mossi più da ragioni opportunistiche che politiche, come i vari Scilipoti o Razzi: una volta abbandonata la propria casa d'origine, dove trovare il nuovo approdo? La stessa domanda che in queste ore si sta ponendo l'ultimo, in ordine di tempo, di questo lungo elenco: Flavio Tosi. «È stata una botta tremenda – ha confessato sempre ai microfoni di Repubblica – Dopo 25 anni di militanza nella Lega ti trovi all'improvviso fuori da casa tua. È come prendere un pugno nello stomaco. Non pensavo che finisse così». Parole che tradiscono, oltre al comprensibile spaesamento, anche un certo imbarazzo. Soprattutto se gli si aggiungono quelle rilasciate poche ore più tardi ad Antenna Tre Nordest: «Se non mi candidassi alla presidenza della Regione Veneto voterei Zaia. La coerenza impone che, per questioni personali, io non smentisca la visione politica di un certo tipo che ho».

Il sindaco di Verona si è preso due giorni di tempo per decidere se correre o meno per governare la Regione. Ma allo stesso tempo ha seccamente smentito i contatti sia con Ncd che con Italia unica di Corrado Passera: se si candiderà, lo farà da indipendente, con una Lista Tosi. Eppure, persino per leader noti e votati come lui, la traversata in solitaria rischia di preludere ad un sicuro naufragio. Un po' per la difficoltà a trovare nuove parole d'ordine da comunicare, dopo essersi identificato per anni con quelle di un movimento ben preciso. Un po' perché, in una politica sempre più mescolata al marketing, i loghi dei partiti diventano marchi di prodotti da vendere all'elettorato. È su questo punto che Flavio Tosi si giocherà il proprio futuro politico. Come, prima di lui, se lo sono giocati Follini, Casini e Fini. Tutti falliti, forse non per caso. Perché, come recita uno dei tipici adagi da vecchi lupi del Transatlantico: «Le rotture danneggiano. Soprattutto chi le fa».