Mucchetti: «L'ENU rinunci al South Stream»
Il presidente della commissione Industria del Senato, Massimo Mucchetti, parla di Ucraina sul suo blog e afferma che l'unica, vera sanzione che l'Italia può infliggere a Putin consiste nella rinuncia dell'Eni a finanziare il tratto del gasdotto Sout Stream.
ROMA - Massimo Mucchetti, presidente della commissione Industria del Senato, oggi scrive sul suo blog: «C'è una sanzione vera che a Putin farebbe male, ma l'Italia non la ancora adottata nonostante sia nel suo interesse farlo. Questa speciale sanzione consiste nella rinuncia dell'Eni a finanziare pro quota il tratto del gasdotto South Stream che attraversa gli abissi del Mar Nero. Nella prossima primavera scatta la ricapitalizzazione della società a maggioranza Gazprom che sarà proprietaria del tubo. L'Eni dovrebbe versare 2 miliardi se vuol conservare la sua attuale quota del 20%. Ma può anche astenersene lasciandosi diluire fin quasi a zero ed evitando così di fare altri 2 miliardi di debiti».
IL PROGETTO SCARONI - Mucchetti afferma che «nel 2009, Paolo Scaroni caldeggiò l'operazione che a regime sarebbe costata almeno 35 miliardi, in buona parte finanziati a debito. Il progetto trovava un suo equilibrio economico sulla base di un ritorno, dopo le tasse, del 10%, altissimo per un'infrastruttura. Per ottenere un simile guadagno, al gas russo trasportato attraverso quel tubo si dovrebbe applicare un diritto di passaggio assai elevato. E questo aumenterebbe il prezzo finale di quel gas in un contesto di minor utilizzo di questo combustibile fossile e di prezzi strutturalmente calanti per gli effetti dello shale gas sul mercato globale».
I FINI DI MOSCA - «L'Eni scaroniana - prosegue Massimo Mucchetti - non ha mai chiarito, nemmeno nell'ultima audizione alla commissione Industria del Senato, se e quanto del gas del South Stream si sarebbe aggiunto, e a quali condizioni contrattuali, a quello già destinato all'Eni medesima dai contratti take or pay con Gapzrom. D'altra parte, i fini di Mosca erano e sono in tutta evidenza due: nel breve periodo, impaurire Kiev mettendo in funzione un tubo alternativo a quello storico che passa dall'Ucraina; sul piano strategico, una volta risolta in un modo o nell'altro la crisi ucraina, aumentare la già ingente dipendenza dell'Europa dalle forniture di gas russo».
ENI RIMEDI ALL'ANTICO ERRORE - Conclude il senatore del Partito democratico: «L'errore dell'Eni era chiaro già nel 2009-2010. Basta ricordarsi di che cosa aveva fatto mettere a verbale il consigliere di amministrazione, Alberto Clò, e non solo lui. Al suo esordio, il premier Matteo Renzi ha confermato l'impegno dell'Italia nel South Stream. Immagino per la fretta di dire qualcosa. Ora l'Eni ha cambiato gestione. Se è vero che Claudio Descalzi è un manager tutto industria e zero salotti politici, il cane a sei zampe può rimediare all'antico errore prima che sia troppo tardi (ovvero prima di mettere mano davvero al portafoglio a favore del progetto putiniano). E il governo può salvare la faccia dicendo che la ritirata non deriva dall'ammissione di un errore ma è imposta dalle sanzioni. Andrà bene anche così. Come diceva il grande Deng Xiaoping, non importa di che colore è il gatto purchè prenda i topi».
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