18 aprile 2024
Aggiornato 08:00
Le indicrezioni dal Colle

Legge elettorale, Napolitano: Sciagurato non farla

La moral suasion del Quirinale è più forte che mai e nessuno, tanto meno il Pd, può permettersi il ruolo dell'affossatore della riforma. Per il capo dello Stato bisogna assolutamente rimediare allo scollamento tra cittadini e istituzioni che si è verificato con il Porcellum

ROMA - Ancora una volta c'è l'annuncio di «passi avanti» sulla legge elettorale, e anche in questo caso nel giro di pochi minuti qualcuno tira con forza il freno a mano. Se dal Senato arriva la notizia che giovedì si potrebbe finalmente arrivare ad un 'testo base' da mandare poi all'esame dell'Aula, il segretario democratico Pier Luigi Bersani ci mette pochi minuti per far capire che è presto per parlare di accordo («Mah, fino a ieri no...») e per avvertire chi «pensa di usare la riforma elettorale per frammentare, balcanizzare»: non si arriverebbe a un Monti bis, ma alla «palude». Una apparente contraddizione che si spiega non appena si scambiano due chiacchiere con deputati e senatori che seguono da vicino la vicenda: nella sostanza le parti sono lontane, il Pd continua a ritenere insufficiente il premio di maggioranza che Pdl, Lega e Udc sono disposti a concedere, ma la 'moral suasion' del Quirinale è più forte che mai e nessuno, tanto meno il Pd, può permettersi il ruolo dell'affossatore della riforma, soprattutto se il Presidente dovesse di nuovo prendere la parola per strigliare i partiti, ipotesi che sarebbe circolata negli ultimi giorni.

Napolitano, raccontano fonti parlamentari democratiche, negli ultimi giorni si è fatto sentire con energia: il presidente ritiene sciagurata l'ipotesi di un nulla di fatto sulla legge elettorale, per il capo dello Stato bisogna assolutamente rimediare allo scollamento tra cittadini e istituzioni che si è verificato con il 'Porcellum'. Non solo, ma il capo dello Stato è preoccupato anche delle conseguenze in termini di equilibri politici che una legge come quella in vigore potrebbe creare: in base ai sondaggi la coalizione oggi più forte, quella Pd-Sel, non supererebbe il 32%-33%, un risultato che alla Camera varrebbe il 55% dei seggi ma che al Senato potrebbe rivelarsi insufficiente a disegnare una maggioranza.

Insomma, il rischio sarebbe quello di una situazione peggiore di quella del 2006, quando il centrosinistra si ritrovò al Senato con una manciata di voti di maggioranza: in questo caso la maggioranza potrebbe non esserci affatto a palazzo Madama, mentre alla Camera ci sarebbe comunque un 55% di seggi assegnati a chi arriva primo. Lo stallo, praticamente, una situazione difficile da sbrogliare per il prossimo capo dello Stato che dovrà formare il nuovo Governo. Soprattutto, una situazione che potrebbe esporre il Paese a nuovi e devastanti attacchi speculativi.

Il presidente, spiegano, chiede che non si perda altro tempo, che i partiti facciano prevalere l'interesse del Paese e che si decidano a passare alla prova dell'Aula. Se ciò non avvenisse in tempi molto rapidi Napolitano potrebbe alzare di nuovo la voce contro i partiti e qualche parlamentare Pd non esclude nemmeno che il Colle possa ricorrere ad un messaggio alle Camere. Un'ipotesi che preoccupa soprattutto il Pd, poiché, come hanno spiegato oggi chiaramente sia Bersani che Franceschini, è forte il timore di una manovra di accerchiamento Pdl-Udc-Lega mirata ad isolare i democratici e a produrre una legge che sbarri la strada alla vittoria del centrosinistra: «Volere un Monti bis è legittimo - ha detto Franceschini - Volere una legge elettorale che porti all'ingovernabilità solo per rendere inevitabile un Monti bis è folle». E Bersani è stato più chiaro: non si pensi che facendo una legge che non fa vincere nessuno si torna al «governissimo», sarebbe piuttosto «la palude», perché «dico subito che se si pensasse mai di ovviare con risicate maggioranze senza profilo e dove io dovrei stare con Berlusconi, si sbagliano, se lo sognano. Nel caso io - e penso anche il Pd - ci riposiamo».

Il problema è che il rischia per diventare il 'difensore del Porcellum' se Pd sceglie la strada dell'Aventino sulla legge elettorale, come pure qualche dirigente bersaniano vorrebbe. Già da un po' il Pdl ha cominciato a recitare il ritornello e oggi è stato Maurizio Gasparri a ripeterlo: «Il Pd vorrebbe mantenere la legge elettorale». Subito ha risposto la Finocchiaro: «Gasparri non faccia il furbo. Noi siamo disponibili al confronto, a patto che il confronto stesso non serva a impedire al partito o alla coalizione che vince di governare». Ecco allora che il 'testo base' diventa più probabile: opporsi, per il Pd, significherebbe accollarsi l'etichetta di sabotatori della riforma elettorale. Per questo la Finocchiaro oggi ha detto di vedere «passi avanti sul metodo», aggiungendo che «sul merito c'è ancora molto da fare»: un modo per mostrare disponibilità al dialogo, senza rinunciare ai paletti che il segretario ha ricordato anche oggi, primo fra tutti quello della governabilità.

Sotto sotto, però, in casa Pd la preoccupazione è sempre più forte. E' ben chiaro a tutti che una volta adottato il testo base, poi in Aula il Pd rischia di trovarsi isolato sul premio di maggioranza, se Udc, Lega e Pdl trovassero l'accordo su una riforma che prevede solo un 'premietto' i democratici sarebbero a un bivio: votare contro significherebbe ritagliarsi il ruolo di unici 'affossatori' della riforma, e a quel punto il probabile intervento di Napolitano avrebbe agli occhi di tutti un destinatario molto riconoscibile; d'altro canto, accodarsi vorrebbe dire rinunciare in partenza a palazzo Chigi. Per ora c'è la barricata eretta da Bersani, e l'Udc non pare intenzionato a rinunciare alle preferenze. Ma si vedrà nei prossimi giorni quanto potrà reggere.