Berlusconi: ora è chiaro chi vuole la rissa
Il Premier vede il voto: «Fini non può fondare partito e avere un ruolo super partes. Ma non pensino di logorarmi ogni provvedimento»
ROMA - Chissà quanto gli è costato non «festeggiare» il suo compleanno numero 74, dicendo a Gianfranco Fini quello che pensa veramente. Tanto, se è vero che prima che Silvio Berlusconi prendesse la parola nell'Aula della Camera per chiedere la fiducia sui '5 punti', due ministri, Frattini e Carfagna, hanno sentito la necessità di fargli cenno con la mano di andarci piano. Se Gianni Letta, la colomba per eccellenza, mai come oggi non lo ha mollato un attimo.
UN PREMIER «STATISTA» - E alla prova del discorso, alla fine, il presidente del Consiglio, è riuscito a non cedere al 'lato oscuro della forza' e a mantenere i panni dello 'statista' che i suoi consiglieri più prudenti gli hanno cucito in questi ultimi giorni. Un vestito che alla fine il Cavaliere ha scelto di indossare, anche perché, come ha confidato ad alcuni ministri dopo il suo primo intervento durato 54 minuti, «agli italiani deve essere chiaro chi cerca la rissa e chi vuole governare». Da qui i toni super soft, l'appello allo «sforzo per evitare un periodo di instabilità», corredato da un paio di messaggi ben chiari: il lodo si può e si deve approvare, non esiste altro governo all'infuori di me. Perchè l'ipotesi di un esecutivo tecnico, in caso di crisi, è lo scenario che più di tutti Berlusconi vuole scongiurare. Ergo, bisogna evitare la crisi. Almeno per ora, che i sondaggi sono al ribasso e che gli italiani potrebbero reagire alla nuova chiamata alle urne con una buona dose di astensione.
IL PARTITO DI FINI - Per questo, ufficialmente il premier durante la replica ha evitato affondi, sebbene gli fosse arrivata all'orecchio l'indiscrezione secondo cui Fini è in procinto di dare vita a un nuovo soggetto politico. Faccia pure - avrebbe detto in privato - ma poi voglio vedere come spiega che è contemporaneamente il presidente super partes della Camera e il fondatore di un partito. E infatti, durante il secondo intervento, un po' i toni si sono alzati: ma il premier è stato ben attento a rivolgere i suoi sfoghi in direzione dell'opposizione, anziché degli esponenti di Fli. Unico 'strappo': il momento in cui si è rivolto direttamente a Gianfranco Fini per chiedergli di fermare le accuse di Antonio Di Pietro.
NO AL LOGORAMENTO - Per oggi, dunque, è andata così. Il governo sostiene che ha i numeri in abbondanza per andare avanti e li sventola anche di fronte alla Lega che, ancora oggi con Umberto Bossi, parla di via «strettissima». Ma è chiaro a tutti che i finiani e l'Mpa sono stati determinanti, tant'è che da stamattina il coordinatore del partito, Ignazio La Russa, ha negato che si fosse mai fissata una qualsivoglia asticella dell'autosufficienza, che anzi è stata derubricata a semplice «invenzione giornalistica semmai suffragata dalla Lega». Eppure, nessuno a palazzo Grazioli, fa previsioni a lunga scadenza sulla durata della legislatura. Oggi hanno votato sì alla fiducia - spiegano - e hanno detto di sottoscrivere i cinque punti elencati nell'intervento. Ma è evidente che se quando si arriva a discutere dei singoli provvedimenti si ripete il 'modello intercettazioni', ossia logoramento continuo del Pdl, non potremmo che trarre le conseguenze. Dunque, il voto anticipato. «Ma dovrà essere chiaro - è il mantra del premier - che non siamo stati noi a volerlo».
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