20 aprile 2024
Aggiornato 15:30
Editoriale

Berlusconi, con Brancher prima vittoria

Il premier risolve uno dei problemi che lo attendono in settimana

Silvio Berlusconi è stato di parole. Il «ghe pensi mi» promesso nelle interviste televisive al ritorno del tour in giro per il mondo lo ha applicato alla lettera nel caso del ministro, la cui nomina ha sollevato un polverone dal quale il premier ha deciso di uscire alla svelta.
Da questa mattina Aldo Brancher non è più una spina al fianco del governo: ha infatti rassegnato le sue dimissioni direttamente in tribunale dove è andato per chiedere il rito abbreviato per se e per sua moglie nella causa che lo vede imputato per ricettazione nella vicenda Antonveneta.
Il primo colpo di Berlusconi di quella che si presenta come una settimana decisiva è andato in porto.
Ora si attendono le prossime mosse del premier.
Il compito immediato che ha in agenda sarà quello di dimostrare che la soluzione Brancher non è un segno di arrendevolezza.

«Il primo atto del 'ghe pensi mi' berlusconiano va incontro alle nostre richieste, siamo fiduciosi che lo stesso accadrà su intercettazioni, manovra e vita interna del Pdl» è stato il commento a caldo del finiano di ferro, Italo Bocchino.
Le dimissioni di Brancher hanno anche fatto tornare la voce a Dario Franceschini che le ha immediatamente rubricate come una vittoria delle opposizioni.
Quindi Berlusconi con la prima mossa del «ghe pensi mi» ha riaffermato la sua capacità di avere ben salde in mano le redini della coalizione (non bisogna dimenticare che le insegne del comando a Brancher erano state consegnate a quattro mani dal premier e dal ministro Calderoli).
A lume di logica se non vuole passare come prossimo la cedimento, dopo una giocata con la mano leggera, ora Berlusconi ne dovrebbe avere in serbo una da mano pesante.
Con chi userà il pugno di ferro?
Sulla carta ci sono due bersagli possibili. Uno si chiama Fini, l’altro Tremonti.
Il premier è tenuto a fare la voce grossa con tutti due.

Con il Presidente della Camera i margini di manovra sono esauriti. La resa dei conti è inevitabile si tratta solo di vedere quale strada Berlusconi imboccherà per contenere il danno che ne può derivare al Pdl. Qualcuno ha proposto la via mediana di una confederazione. Fini e i suoi seguaci potrebbero confluire in una compagine federata. Sarebbero così spinti all’esterno del Pdl pur restandone alleati. Teoricamente questo sbocco avrebbe il compito di eliminare il controcanto all’interno del Pdl. Ma che senso avrebbe una alleanza con una forza che continuasse a dimostrare la sua avversione a tutte le scelte strategiche del governo? Quindi prende sempre più piede la strada dell’espulsione.

Con Tremonti Berlusconi userà il pugno di ferro, ma in guanto di velluto. Imporrà al ministro del Tesoro di essere più «politico» e pretenderà l’impegno a non esasperare maggiormente gli animi mostrando in tutta la sua pienezza l’antipatia che nutre per il Sud. Insomma al prossimo «cialtroni» rivolto indistintamente ai governanti meridionali («qui non c’è stata differenza fra governanti si sinistra o di destra», disse il ministro) Tremonti si troverà fuori della porta. Ma per il resto Berlusconi è pronto a fare da mediatore fra ministri, Regioni, Confindustria e parti sociali per far digerire la pillola dei 25 miliardi di euro. E quindi a far conseguire a Tremonti quel «saldo e soldi» sul quale in definitiva tutti a parole si dicono d’accordo.