19 aprile 2024
Aggiornato 00:00

Come è cambiata la diffusione dell’HIV/AIDS in Italia

Cala l'incidenza della malattia conclamata, ma aumentano le infezioni. A causa di diagnosi troppo tardive

In Italia, come nel resto del mondo occidentale, il fenomeno HIV/AIDS si presta ormai a una doppia lettura. Una faccia della medaglia, quella positiva, ci dice che l’incidenza di AIDS (la malattia conclamata), che aveva toccato una punta massima di oltre 5500 nuovi casi nel 1995, è andata declinando a partire da metà del 1996, Ad oggi, sin dall’inizio dell’epidemia, i casi segnalati sono 60.346 (60.788 se si aggiusta per il ritardo della notifica), di cui 977 (1330 aggiustati per il ritardo) diagnosticati nell’ultimo anno. Dal momento che il numero di decessi (circa 200) è stato inferiore a quello dei nuovi casi, la prevalenza di persone viventi con AIDS nell’ultimo anno è in aumento (si stimano oltre 21.500 pazienti viventi con AIDS). La diminuzione dei nuovi casi di AIDS non è da attribuire a una diminuita incidenza delle nuove infezioni da HIV, quanto piuttosto all’effetto della terapia antiretrovirale combinata. Il trattamento, infatti, ha rallentato la progressione della malattia (la durata del tempo di incubazione dell’AIDS, che era di circa 10 anni, oggi è almeno raddoppiata), riducendo sia il numero dei pazienti che evolvono in fase conclamata che il numero dei decessi.

Esiste, però, l’altra faccia della medaglia. L’aumento della sopravvivenza determina un incremento del numero delle persone sieropositive viventi (ne stimiamo, oggi, almeno 140.000), e una parte di queste continua ad avere rapporti sessuali non protetti, magari perché inconsapevole del proprio stato di contagiosità. Ciò può contribuire alla diffusione dell’infezione, come testimoniato dall’elevato numero di nuove infezioni (circa 3500/4000 l’anno) che si stima si verifichino ancora in Italia.

Cambia l’epidemia e si modificano anche le caratteristiche delle persone colpite. Innanzitutto, aumenta l’età delle persone con AIDS: se nel 1988 la mediana era di 29 anni per i maschi e 27 per le femmine, nel 2008 si arriva rispettivamente a 43 e 40 anni. Cambiano anche i fattori di rischio: la proporzione dei casi attribuibili alla tossicodipendenza è diminuita dal 66% prima del 1997 al 25% nel 2007-08, mentre i contatti eterosessuali sono passati nello stesso periodo dall’15% al 45%. Aumentano gli stranieri: questi rappresentavano meno del 3% dei casi segnalati prima del 1993 ma oltre il 22% oggi. Questi trend sono ancora più accentuati quando ci si riferisce alle nuove diagnosi di sieropositività per HIV, ovverosia a persone che, a differenza dei casi di AIDS, hanno acquisito l’infezione più recentemente. Fra queste, la tossicodipendenza conta per meno del 10% dei casi, mentre la proporzione di nuove diagnosi in stranieri si avvicina al 30% dei casi.

Ma il fenomeno più inquietante consiste nell’incremento delle persone che scoprono di essere sieropositive solo al momento della diagnosi di AIDS, ovvero in uno stadio di malattia molto avanzato. La percentuale degli «inconsapevoli» è aumentata dal 21% nel 1996 al 60% nel 2008. Questo dato suggerisce che una parte rilevante di persone infette, soprattutto fra coloro che hanno acquisito l’infezione per via sessuale, ignora per molti anni la propria sieropositività: ciò gli impedisce di entrare precocemente in trattamento e di adottare quelle precauzioni che potrebbero diminuire il rischio di diffusione dell’infezione.

In conclusione, l’epidemia di HIV/AIDS non diminuisce, piuttosto si modifica. I sieropositivi vivono più a lungo e meglio, grazie alle nuove terapie che mantengono l’infezione quiescente, ma le dimensioni dell’epidemia aumentano, a causa dell’abbassamento della guardia conseguente alla bassa percezione del rischio di contrare l’infezione, soprattutto per via sessuale. In un’epoca di bassa attenzione per l’AIDS, è quanto mai necessario programmare adeguati interventi di prevenzione.

a cura di Gianni Rezza
Dipartimento Malattie Infettive, Parassitarie e Immunomediate dell’Istituto Superiore di Sanità