8 maggio 2024
Aggiornato 13:30
lavoro

Il paradosso di Berlusconi sul lavoro del futuro (che non è un problema suo)

Le nuove tecnologie e il lavoro, un estratto dell'intervista di Berlusconi a Quinta Colonna

Il paradosso di Berlusconi sul lavoro del futuro (che non è un problema suo)
Il paradosso di Berlusconi sul lavoro del futuro (che non è un problema suo) Foto: Shutterstock

MILANO - Il lavoro è la massima priorità, per chi ambisce a salire al governo alle prossime elezioni del 4 marzo. E in un quadro frastagliato che vede la disoccupazione ferma all’11% e i dati ISTAT rilevare 23 milioni e 183mila persone al lavoro (il numero più alto dal 1977), chi affronta in modo ponderato l’avanzata delle nuove tecnologie si conta sulle dita di una mano. Benché la parola «innovazione» e «tecnologia» riecheggi nei discorsi politici di questi giorni, imbastiti alla perfezione per la già dirompente campagna elettorale, ancora è poco chiaro come i nostri futuri premier abbiano intenzione di affrontare le sfide tecnologiche. Saper governare le tecnologie è il primo passo per creare lavoro. E lo sa bene il buon ministro Calenda, che nel suo articolo sul Sole24Ore scrive: «l’occupazione crescerà nei paesi che hanno investito sulle competenze digitali e si ridurrà in quelli  che non le hanno acquisite in maniera adeguata ad affrontare la trasformazione del tessuto produttivo». Ergo: l’occupazione futura dipenderà da come sapremo cavalcare l’ondata dirompente della tecnologia.

Il lavoro del futuro non interessa a Berlusconi
Una questione che non sembra appartenere troppo a Berlusconi. Andatevi a guardare l’intervista rilasciata giovedì 18 gennaio al giornalista Paolo Del Debbio, nella trasmissione «Quinta Colonna», su Canale 5 (minuto 44). Al rapporto tra occupazione futura e nuove tecnologie e alle «fabbriche del 2050», racconta un piccolo aneddoto (non suo, ma di un professore suo amico della California): «La società del futuro? E’ composta da macchine, un uomo e un cane. Le macchine realizzeranno i prodotti, l’uomo darà da mangiare al cane e il cane impedirà all’uomo di avvicinarsi alle macchine. Un vero paradosso». Già, un paradosso, aggiungiamo noi, che può essere risolto - in buona parte - con la formazione. Ma andiamo avanti. Alla richiesta di maggiori soluzioni da parte di Del Debbio, Berlusconi appare incerto: «Bisognerà inventarsi altri lavori per occupare l’uomo, non so, non è un problema mio». Sì. Sicuramente Berlusconi non sarà presente con noi nel 2050, ma i nostri ragazzi, nel 2050, ci saranno eccome. Ed è a partire da oggi che si debbono incentivare delle politiche affinché i ragazzi abbiano le armi per destreggiarsi nelle fabbriche del futuro, senza che siano costretti a far parte di quella classe definita inutile.

Il quadro
Lo sviluppo dell'automazione reso possibile da tecnologie quali la robotica e l'intelligenza artificiale porta la promessa di una maggiore produttività (e con produttività, crescita economica), maggiore efficienza, sicurezza e convenienza. Ma queste tecnologie sollevano anche interrogativi difficili circa il più ampio impatto dell'automazione sui posti di lavoro, sulle competenze, sui salari e sulla natura stessa del lavoro. La disoccupazione e la sottoccupazione sono elevate in tutto il mondo. Negli Stati Uniti e nei 15 principali paesi dell'Unione Europea (UE-15), ci sono 285 milioni di adulti che non sono nella forza lavoro e almeno 100 milioni vorrebbero lavorare di più. Circa il 30-45 per cento della popolazione in età lavorativa nel mondo è sottoutilizzata, vale a dire disoccupata, inattiva o sottoccupata. Ciò si traduce in circa 850 milioni di persone solo negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Germania, Giappone, Giappone, Brasile, Cina e India. La maggior parte dell'attenzione, però, è rivolta alla parte disoccupata di questo numero e non abbastanza alla parte sottoccupata e inattiva, che costituiscono la maggior parte del potenziale umano non sfruttato. Quasi 75 milioni di giovani sono ufficialmente disoccupati.

In alcuni casi la tecnologia ha aumentato i posti di lavoro
In uno scenario come questo, che può - a ragione - sembrare apocalittico, non dobbiamo dimenticarci che se le tecnologie sostituiscono alcuni posti di lavoro, stanno creando nuove professioni in industrie che la maggior parte di noi non può nemmeno immaginare, e nuovi modi per generare reddito. Un terzo dei nuovi posti di lavoro creati negli Stati Uniti negli ultimi 25 anni era costituito da tipi che non esistevano o esistevano a malapena in settori quali lo sviluppo informatico, la produzione di hardware, la creazione di app e la gestione dei sistemi informatici. L'impatto netto delle nuove tecnologie sull'occupazione può essere fortemente positivo. Uno studio condotto nel 2011 dall'ufficio parigino di McKinsey ha scoperto che Internet aveva distrutto 500.000 posti di lavoro in Francia negli ultimi 15 anni, ma allo stesso tempo ne aveva creati altri 1,2 milioni. Con un'aggiunta netta di 700.000, o 2,4 posti di lavoro creati per ogni posto di lavoro distrutto.

Gli studenti non conoscono le tecnologie
Aiutare la società di domani, significa lavorare oggi. Chiaramente. Perché quanto a competenze digitali, restiamo indietro. In media, solo il 30% degli studenti universitari conosce la definizione corretta di strumenti dell’innovazione digitale applicati al business come «mobile advertising», «cloud», «fatturazione elettronica» o «big data» (erano il 25% due anni fa), mentre ben il 60% non ha mai sentito nominare alcune delle principali aree dell’innovazione digitale, come Blockchain, Internet of Things o Industria 4.0. Passando dalla teoria alla pratica il divario diventa più evidente: solo un universitario su cinque (il 21,5%, contro il 18,6% del 2015) mediamente ha un'esperienza concreta nella gestione di progetti digitali: un buon 38% ha già venduto online, il 26,9% gestisce una pagina Facebook, appena l'11,4% ha un canale YouTube e il 9,8% un proprio sito o blog. Non va neppure particolarmente bene per ciò che riguarda la formazione aziendale. Da una ricerca di Capgemini emerge come i datori di lavoro (il 51%) sia spaventato dal fatto che, una volta introdotto un percorso di formazione aziendale, i suoi dipendenti lasceranno l’azienda. Per il 45% dei dipendenti, inoltre, i programmi di formazione messi in atto dalle aziende sono ‘inutili e noiosi’ e spesso non viene concesso il tempo necessario per potervi partecipare.

Cosa propone Berlusconi per aumentare l’occupazione
Per combattere la disoccupazione e favorire l’occupazione, però, Berlusconi pensa «una serie di provvedimenti fra i quali l'eliminazione di ogni tassa o contributo per i primi sei anni (contratto di praticantato e contratto di primo impiego) per chi assume un giovane a tempo indeterminato». Per lui, per far aumentare l’occupazione, è necessario far crescere l’economia. «E’  quello che cercheremo di fare mettendo in pratica l'equazione dello sviluppo e del benessere», sottolinea difendendo anche la proposta della flat tax i cui principali beneficiari «saranno nel ceto medio che oggi è il segmento sociale più tartassato dal fisco». Quanto ai lavori del futuro….Beh… Non sono un problema suo.