1 maggio 2024
Aggiornato 23:30
fisco

Così Facebook pagherà le tasse anche in Italia (davvero)

Rivoluzione fiscale per Facebook che - a partire da metà 2018 - pagherà le tasse anche in Italia, e in tutti i paesi dove realizza ricavi pubblicitari

Così Facebook pagherà le tasse anche in Italia
Così Facebook pagherà le tasse anche in Italia Foto: Shutterstock

MILANO - Facebook Italia si trasformerà in un vero e proprio soggetto giuridico in modo che Facebook possa pagare le tasse sui ricavi pubblicitari ottenuti dai team locali direttamente nel territorio in cui li ha generati. Una rivoluzione copernicana, proprio nei giorni cui la web tax italiana va alle Commissione Bilancio per essere approvata dalla maggioranza. Ma la rivoluzione di Facebook non riguarderà solo l’Italia, bensì altri 25 paesi considerati rilevanti. E, così, quell’economia digitale senza frontiere si connota di un tassello che trova le sue radici nelle industria del passato: la territorialità.

Presumibilmente da metà 2018, dunque, non sarà più Dublino a fatturare, ma le varie società locali. Una struttura locale per vendere gli spazi pubblicitari e pagare le tasse. Il quartier generale di Menlo Park (California) continuerà ad essere la sede centrale di Facebook negli Stati Uniti, e gli uffici a Dublino (Irlanda) continueranno ad essere l'headquarter internazionale. Con la differenza che le tasse saranno pagate nel Paese in cui vengono realizzati i ricavi pubblicitari. Per Dave Wehner, chief financial officer di Facebook, si tratta di una questione di maggiore trasparenza trasparenza, che sarà fornita ai governi ai policy maker di tutto il mondo.

La maggior parte dei fatturati dei colossi Tech arriva, appunto, dalla pubblicità online, uno dei pochi mercati che - nonostante tutto - non conosce crisi, con un giro d’affari che ha registrato più 41% tra il 2010 e il 2015. L’intero settore della pubblicità online, secondo i dati Nielsen, ha chiuso il 2016 con un incremento dell’8% dei ricavi a 2,28 miliardi di euro, piazzandosi nettamente al secondo posto come tipologia preferita dagli investitori pubblicitari, con una quota del 27,7%. In realtà l’incremento dell’8% messo a segno dal settore online nasconde soprattutto un aumento di search e social, le aree in cui sono attive Google e Facebook. Negli Stati Uniti, Google e Facebook hanno rappresentato il 99% della crescita dei ricavi della pubblicità negli Stati Uniti, acquisendo un totale del 77% della spesa lorda nel 2016, in crescita rispetto al 72% del 2015. Alla luce di questi dati, secondo il registro delle imprese delle Camere di Commercio, in Italia, Facebook ha registrato nel 2015 7,5 milioni di ricavi delle vendite e delle prestazioni e ha pagato un totale di imposte sul reddito d’esercizio di 203mila euro (erano 305mila nel bilancio 2014). In totale, negli ultimi 5 anni i colossi della Internet economy hanno pagato 46 miliardi di tasse in meno grazie al ricorso alla tassazione in paradisi fiscali e ai vari sistemi di elusione fiscale. Un risparmio di 11,5 miliardi nel solo 2016. Nello specifico, il beneficio fiscale di Facebook nel 2016 è stato di 1,5 miliardi di dollari.

Sarà la Facebook Italy Srl, nome ufficiale della casa italiana dell’impero dei social network, a pagare le tasse, d’ora in poi. Trenta dipendenti a Milano, 28 milioni di utenti nel Paese (più i 9 di Instagram, della stessa proprietà), l’orgoglio di essere la quinta filiale al mondo per tasso di crescita. Fino a oggi ha versato al fisco appena 203 mila euro di tasse con l’esercizio 2015, l’ultimo per cui è disponibile un bilancio depositato. Più o meno quante ne può pagare un professionista di fascia alta: manager, notaio, dirigente che sia. Non è detto, però, che questa rivoluzione porti un aumento del gettito fiscale. Nel modello del Gran Bretagna, già attivo dal 2016, il conto erariale ha raggiunto i 3,34 milioni di dollari, a fronte dei crediti fiscali maturati negli anni precedenti. La marginalità del Regno Unito, tuttavia, è solo del 7%, a fronte del 45% medio del gruppo multinazionale.

«La scelta di Facebook rappresenta il giusto approccio alla controversa materia del rapporto tra la regolazione dei mercati e la dimensione globale dei giganti del web - ha commentato Sergio Boccadutri, deputato e responsabile Innovazione del PD -. È quindi corretto affrontare la questione sotto il profilo della stabile organizzazione, diversamente ogni proposta di ‘digital tax’ che discrimina tra off-line e on-line, ha l’unico effetto di penalizzare imprese e utenti». Battute salienti che arrivano proprio dalla decisione del presidente della Commissione Finanze Francesco Boccia di estendere la web tax a tutte le transazioni online di beni e di servizi, compresi anche gli e-commerce. Una tassazione che - appunto - penalizzerebbe troppo il digitale rispetto al commercio fisico.