La ricerca italiana è al palo, scienziati in piazza: «Stanchi di essere precari»
Sono scesi in piazza per chiedere al Governo di introdurre degli aggiustamenti alla legge di stabilità, favorendo maggiormente la ricerca
ROMA - Si sono dati appuntamento in piazza, come succede per le maggiori contestazioni. Perchè anche loro, i ricercatori, sono lavoratori come tutti gli altri e sono precari, forse peggio degli altri. Una manifestazione a Roma, tra Palazzo Vidoni e Piazzale Aldo Moro, per chiedere al presidente del Consiglio Paolo Gentiloni di ridare loro un barlume di speranza approfittando della legge di stabilità. Solo al Cnr, il maggiore ente pubblico di ricerca, il 40% dei dipendenti è precario, circa 4mila unità.
La legge di stabilità, però, non avrebbe buone notizie per i ricercatori. Secondo Flc Cgil, Fir Cisl e Uil Rua, nel testo della manovra ci sarebbero risorse per coprire solo 300 posti negli enti di ricerca, rispettivamente 2 milioni di euro per il 2018 e altri 13,5 milioni a partire dal 2019. Del resto, gli investimenti del nostro Paese sono ridotti all’osso. L’Italia investe solo l’1.25% del PIL in ricerca, il 70% in meno rispetto a Israele e Corea del Sud, il 65% in meno di Giappone, Svezia, Finlandia, Danimarca, poco più della metà rispetto a Germania e Stati Uniti e decisamente sotto la media europea.
Gli enti pubblici di ricerca sono 22 in Italia e impiegano circa 30mila persone tra studiosi, tecnologi e amministrativi. Un terzo di loro è praticamente precario. E per i sindacati servirebbero fondi per garantire una situazione lavorativa dignitosa: i sindacati parlano di 300 milioni con i quali sarebbero da colmare le casse del fondo ordinario (Foe). Gli animi sono accesi e pretendono risposte. In occasione della manifestazione svoltasi a Roma, il gruppo «Precari Uniti Cnr» ha scritto una lettera al presidente del Consiglio Gentiloni, illustrando per bene il dettaglio della situazione, «vergognosa».
«A dicembre, dopo anni di studi e sacrifici, centinaia di precari del Cnr saranno licenziati poiché mancano i soldi, ed in alcuni casi normative, per rinnovare i loro contratti. Negli ultimi dieci anni la ricerca pubblica ha subito ingenti decurtamenti di fondi, con conseguenze disastrose sul capitale umano coinvolto. Così è stato per il CNR che, come altri EPR, ha visto il proprio fondo ordinario drasticamente ridotto con ripercussioni dirette sulla capacità assunzionale (complice anche il blocco del turn-over), a fronte di una crescita del fatturato e delle attività. Ciò ha portato all’inesorabile aumento di un precariato strutturale, necessario all'effettiva funzionalità dell'Ente, come affermato dal Piano di Fabbisogno 2017-2019 del CNR, che si protrae ormai da moltissimo tempo (anche 10-15 anni)».
E lo sappiamo. I nostri ricercatori sono voluti, desiderati e ambiti da tutto il mondo. La recente ricerca che posiziona l’Italia al 10° posto in Europa per emissione di brevetti è soltanto uno specchio per le allodole. La maggior parte dei brevetti viene depositata da grandi aziende (STMicroelectronics, FCA, Indesit, ecc.), mentre la produzione brevettuale da parte di Università e centri di ricerca è al palo, con circa il 3% del totale. Il più grande centro di ricerca italiano, il Cnr, riceve dal Foe (il fondo ordinario) solo 500 milioni di euro. Ed è grazie ai finanziamenti esteri che porta a bilancio un miliardo di euro.
I ricercatori sono al limite. Il 16 novembre i sindacati incontreranno i vertici del Cnr per avviare il percorso di stabilizzazione. Nel caso in cui non si concluda nulla, la mobilitazione sarà intensificata.
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