26 aprile 2024
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Web Tax, cosa dice l'emendamento approvato dalla Commissione Bilancio

Quando parliamo di web tax, prima di tutto, facciamo riferimento a una misura che serve a far pagare le tasse in Italia a multinazionali come Google, Apple, Amazon e Facebook. L'emendamento approvato prevede una collaborazione tra i colossi del web e l'Agenzia delle Entrate

ROMA - La web tax torna a far parlare di sé e scatena, come nel 2013, ancora una volta, il dibattito politico tra le parti. L’ultima presa di posizione è quella del presidente di Confindustria Digitale Elio Catania, secondo cui la web tax approvata dalla Commissione Bilancio, sarebbe del tutto «antistorica» e inibirebbe completamente (qualora diventasse legge effettiva) il ruolo che ha oggi l’innovazione in Italia.

Ma cos’è la web tax
Quando parliamo di web tax, prima di tutto, facciamo riferimento a una misura che serve a far pagare le tasse in Italia a multinazionali come Google, Apple, Amazon e Facebook. I colossi del web, grazie ad alcuni stratagemmi, pagano imposte molto basse nei paesi in cui si trovano le loro filiali (come l’Italia) e riversano buona parte dei loro ricavi su società ospitate in paesi con regimi fiscali molto più generosi, Irlanda, Olanda o Bermuda. In parole povere nazioni come l’Italia con cui Apple, Amazon e altri fanno affari, hanno perso e stanno perdendo anche diversi miliardi di gettito, il cui recupero, soprattutto oggi, è diventato necessario. Per recuperare questa somma, la precedente legge sulla web tax del 2013, imponeva a qualsiasi azienda facesse affari nel nostro paese di aprire la partita Iva.

La web tax del 2017
Il tema fu dibattuto già allora, quando fu lo stesso Matteo Renzi, semplicemente grazie a tweet, a cancellare la web tax, la cui norma oggi è, tuttavia, molto diversa rispetto a quella di 3 anni fa. Ed è diversa soprattutto perché è cambiato il giro d’affari dei colossi del web che oggi esercitano un potere di gran lunga superiore rispetto a quello che avevano nel 2013. La proposta Boccia approvata in questi giorni dalla Commissione Bilancio della Camera introduce un meccanismo per un accordo preventivo tra le multinazionali del web e il Fisco. In particolare il decreto prevede una forma di cooperative compliance nei confronti delle web companies che permetta all’Agenzia delle Entrate di avviare una serie di interlocuzioni con le imprese digitali, per raggiungere un accordo preventivo con il fisco italiano, sulla base di un modello già sperimentato e che ha già funzionato in altri settori. Si applica a tutti i gruppi multinazionali con ricavi consolidati superiori a 1 miliardo di euro e che effettuino cessioni di beni e prestazioni di servizi nel territorio dello Stato per un ammontare superiore a 50 milioni di euro. Per intenderci non c’è nessun obbligo di aprire partita Iva, ma Google deve collaborare con l’Agenzia delle Entrate per stabilire se ha una ‘stabile organizzazione’ Italia e quindi pagare una tassazione superiore. In cambio, Google otterrebbe uno sconto sulle sanzioni applicabili dall’Agenzia delle Entrate. Insomma, se collabori ti eviti controlli e contestazioni.

Il disappunto di Confindustria Digitale
«Siamo contrari a misure di legge che cercano di risolvere problemi globali, come quelli relativi alla fiscalità dell’economia digitale, attraverso un’iniziativa  nazionale unilaterale. Neanche possiamo condividere l’idea che una riforma della disciplina fiscale passi attraverso l’istaurazione di un regime di tassazione speciale per il settore digitale - ha detto Elio Catania -. Questa impostazione è antistorica». Secondo Confindustria Digitale, una soluzione condivisa a livello internazionale si sta già profilando. A giugno 2017 verrà firmato il cosiddetto  «Multilateral Instrument» che fornirà ai Governi uno strumento per aggiornare sistematicamente le principali convenzioni bilaterali sottoscritte per evitare fenomeni di doppia imposizione. Allo stesso tempo nel recente G7 di Bari, i Ministri delle Finanze hanno concordato di prevedere, in ambito OCSE, una misura concreta sulla fiscalità digitale già nella prima parte del 2018. «Al contrario - ha sottolineato Catania – se il concetto di  «stabile organizzazione occulta» su cui si impernia il disegno di legge entrasse nel nostro ordinamento, si rischierebbe di avere effetti negativi sulle aziende italiane che operano digitalmente sui mercati internazionali. Infatti nel caso in cui una norma similare venisse implementata in altri Paesi, il rischio di doppia tassazione per il contribuente italiano sarebbe inevitabile».