2 maggio 2024
Aggiornato 14:30
Nel mirino Repubblica ceca, Ungheria, Polonia; si salva l'Austria

Immigrazione, da Ue procedure d'infrazione contro chi non attua le relocation

La minaccia aleggiava nell'aria da un po', ed ora Bruxelles l'ha attuata. L'Ue ha aperto tre procedure d'infrazione contro gli Stati che non attuano la relocation, a discapito dell'Italia. Ma ci si chiede: la politica migratoria di un Paese può essergli imposta dall'esterno?

BRUXELLES - La minaccia aleggiava nell'aria da molto, e ora la Commissione europea ha deciso di agire. Bruxelles ha infatti aperto tre procedure d'infrazione contro la Repubblica ceca, l'Ungheria e la Polonia, per non aver applicato finora le decisioni - prese a maggioranza qualificata dal Consiglio Ue - relative al «ricollocamento" («relocation»), cioè la redistribuzione obbligatoria negli altri Stati membri di 160.000 richiedenti asilo giunti in Italia e Grecia tra settembre 2015 e lo stesso mese del 2017. La decisione, presa dal collegio dei commissari Ue riuniti a Strasburgo, a margine della sessione plenaria del Parlamento europeo, è stata comunicata con una nota della Commissione e spiegata durante una conferenza stampa, sempre a Strasburgo. I tre Paesi nel mirino di Bruxelles non hanno fatto nulla da oltre un anno per adempiere ai propri obblighi (né offerto ricollocamenti, né accettato alcun rifugiato), mentre un quarto Stato membro, l'Austria, che finora non ha ricollocato nessun richiedente asilo sul proprio territorio, ha cambiato posizione recentemente, impegnandosi a prendere 50 rifugiati dall'Italia.

Chi ubbidisce e chi no
«Non possiamo lasciare e non lasceremo da soli gli Stati membri alle frontiere esterne dell'Unione: tutti i richiedenti asilo che si qualificano» per i ricollocamenti, «un numero molto più basso di 160.000 persone, dovranno essere ricollocati nei prossimi mesi. E' un obiettivo che possiamo conseguire se tutti gli Stati membri si assumono la loro giusta parte dell'onere», ha spiegato il commissario all'Immigrazione Dimitris Avramopoulos durante la conferenza stampa.  Il ritmo delle «relocation», riferisce la Commissione europea nella sua nota, «è aumentato significativamente nel 2017, con almeno 10.300 persone ricollocate da gennaio, un incremento di cinque volte rispetto allo stesso periodo del 2016». Secondo l'Esecutivo comunitario, «la maggior parte degli Stati membri hanno così dimostrato che il sistema dei ricollocamenti funziona se c'è la volontà politica»«Voglio elogiare e ringraziare - ha detto in proposito Avramopoulos - quegli Stati membri che hanno continuato senza sosta a fare degli sforzi» per ricollocare i richiedenti asilo, ciò che ha portato a «quasi 2.500 trasferimenti a maggio, con 20.000 persone chiaramente bisognose di protezione che sono state ricollocate in totale».

Numerosi appelli
Negli ultimi mesi, la Commissione aveva ripetutamente fatto appello agli Stati membri che non hanno ancora né offerto né accettato di ricollocare neanche una persona affinché adempissero a questo loro obbligo. «Purtroppo, nonostante questi appelli, la Repubblica ceca, l'Ungheria e la Polonia, in violazione dei propri obblighi giuridici derivanti dalla decisione del Consiglio Ue, e dei propri impegni nei riguardi della Grecia, dell'Italia e di altri Stati membri, non hanno ancora intrapreso le azioni necessarie», ha lamentato Avramopoulos durante la conferenza stampa.

Tempo scaduto
Per questo, come aveva preannunciato che avrebbe se la situazione non fosse cambiata, «la Commissione ha deciso di lanciare delle procedure d'infrazione contro questi tre Stati membri. Dobbiamo essere giusti - ha osservato il commissario - verso quei paesi che rispettano i loro obblighi. E sinceramente io spero che gli Stati membri inadempienti possano ancora riconsiderare le loro posizioni e contribuire in modo equo» allo sforzo comune. «Il tempo è scaduto», dopo che «nell'ultimo anno abbiamo esaurito tutte le possibili alternative» alla procedure d'infrazione, ha aggiunto Avramopoulos, ricordando che la decisione del Consiglio Ue sui ricollocamenti «è stata presa collettivamente ed è giuridicamente vincolante», e che «questi tre paesi non hanno fatto nulla per più di un anno». In particolare, ha riferito il commissario, «l'Ungheria non ha mai trasmesso un'offerta né ricollocato nessuno; la Polonia ha presentato un'offerta nel dicembre 2015 ma poi non ha accettato nessun ricollocamento e non ha più fatto altre offerte; e la Repubblica ceca non ha più presentato offerte dal maggio 2015 e non ha ricollocato nessuno dall'agosto 2016».

Come funziona il meccanismo
Il meccanismo delle «relocation» prevede che gli Stati membri presentino offerte per nuovi ricollocamenti almeno una volta ogni tre mesi, ha ricordato Avramopoulos, che poi ha salutato il fatto che gli altri due paesi finora inadempienti, Austria e Slovacchia, "hanno recentemente presentato delle offerte". L'avvio delle procedure d'infrazione «non è una punizione, ma un avvertimento: è il momento di agire», ha precisato il commissario. E ha aggiunto: «Speriamo che il tempo che resta (prima che la procedura si concluda, ndr) porti questi tre paesi a riconsiderare le loro posizioni... C'è ancora tempo perché non solo la ragione, ma anche lo spirito europeo possa prevalere».

Punizione?
Rispondendo infine a una domanda sui ricorsi contro le «relocation» inoltrati alla Corte europea di Giustizia da Ungheria e Slovacchia, con l'appoggio della Polonia, Avramopoulos ha poi sottolineato che queste azioni legali, «a meno che non lo decida la stessa Corte di Giustizia non hanno effetto sospensivo» sull'attuazione della decisione del Consiglio Ue, che è «vincolante per tutti gli Stati membri», e si è detto «fiducioso» che i giudici comunitari daranno ragione alla Commissione e confermeranno le sue posizioni. «Ciò che facciamo è politicamente e giuridicamente corretto», ha concluso.

Funzionerà?
Se da un lato è vero che gli Stati indicati dalla Commissione non hanno effettuato i ricollocamenti promessi, il tutto a discapito principalmente del nostro Paese, è ancora presto per sapere se l'apertura di procedure d'infrazione contro i «ribelli» si rivelerà uno strumento efficace. La politica migratoria di uno Stato può essergli imposta dall'esterno? E già all'orizzonte si profilano segnali che indicano che il pugno duro di Bruxelles non porterà risultati. Praga è infatti pronta a difendersi e a contrattaccare contro la procedura di infrazione. A renderlo noto, attraverso un comunicato stampa, è stato il premier Bohuslav Sobotka, socialdemocratico, in reazione immediata al passo intrapreso da Bruxelles.

Praga sul piede di guerra
«La Repubblica ceca difenderà in maniera coerente la propria decisione di non prendere parte al sistema di ricollocamento Ue, che non funziona, come siamo in grado di dimostrare» ha scritto Sobotka, ribadendo, come stabilito la scorsa settimana dal suo governo, di non accogliere più alcun profugo da Italia e Grecia. Sinora ne ha fatti giungere 12 dalla Grecia, rispetto ai circa 2.600 previsti dalle quote Ue. «La Commissione Ue, nonostante le nostre raccomandazioni, ha sottovalutato gli effetti esplosivi insiti in una questione così delicata, come quella di decidere in forma di diktat sul ricollocamento dei profughi nei singoli stati membri» ha aggiunto Sobotka. Il sistema a suo parere non funziona: «lo dimostra chiaramente la circostanza che quei pochi migranti, sistemati nei paesi di destinazione, hanno poi preferito trasferirsi in paesi economicamente più ricchi della Ue». Ha infine ribadito che il governo ceco insiste su una soluzione diversa, vale a dire quella di difendere i confini esterni della Ue e aiutare i profughi in luoghi che siano quanto più possile vicini ai loro paesi di origine.