19 marzo 2024
Aggiornato 11:00
Due vicende che vale la pena mettere a confronto

Crimea e Kosovo, due pesi due misure: quando ciò che vale per l'Occidente non vale per la Russia

Kosovo e Crimea: due storie di «autodeterminazione», di morti, di contraddizioni. Due vicende in cui il diritto internazionale è stato invocato a proprio piacimento

Russia contro Nato.
Russia contro Nato. Foto: Shutterstock

KIEV – A ridosso dello scoppio della crisi ucraina, quando quella guerra europea oggi dimenticata riusciva ancora a riempire le cronache internazionali, era d'attualità un paragone, azzardato dallo stesso presidente russo Vladimir Putin: quello con il Kosovo. Due storie di «autodeterminazione», due casi in cui il diritto internazionale è stato interpretato secondo parametri, per così dire, differenti, due tragiche vicende della nostra storia, consumatesi entrambe a pochi Km dalle nostre case, che interpellano l'annosa questione del rapporto tra sovranità e diritto dei popoli ad autodeterminarsi.

Egocentrismo geopolitico
La questione è controversa, perché in ballo non ci sono soltanto carte polverose e norme internazionali, ma anche e soprattutto morti, morti troppo spesso dimenticati ai quali, da una parte e dall'altra, va tutto il nostro rispetto. Eppure, pur con tutte le differenze del caso, tracciare una linea di congiunzione tra quegli eventi è quantomeno legittimo. Perlomeno, per provare a capire se la nostra interpretazione storica non sia viziata, anche in minima parte, dal nostro punto di vista di occidentali, dal nostro, per così dire «egocentrismo geopolitico».

Semplificazioni
C'è chi sostiene che una delle più grandi differenze tra le due vicende sia che la missione della Nato contro la Jugoslavia nel 1999 fu determinata dalla minaccia fisica che Slobodan Milosevic mise in atto contro una parte del suo popolo che viveva nella provincia autonoma del Kosovo. L'ex ambasciatore americano a Mosca Michael Mc Faul, alla CNN, la spiegò così: «Non ha senso paragonare la Crimea e l'Ucraina con il Kosovo e la Serbia. La Serbia aveva minacciato i kosovari, mentre l'Ucraina non minaccia nessuno». Una semplificazione piuttosto imprecisa, almeno per due ragioni. Primo, il fatto che l'Ucraina «non minacci nessuno» è piuttosto opinabile, a giudicare dai colpi di artiglieria pesante di recente sferrati a Donetsk. Secondo, in Kosovo non vivevano «i kosovari», ma serbi, albanesi, turchi e altri popoli. In quel territorio, circa l'80% della popolazione, che sotto Tito aveva goduto di una certa autonomia, era musulmana di etnia albanese, e fu quando Milosevic decise di togliere quell'autonomia che il Kosovo si autoproclamò repubblica indipendente.

Contraddizioni
Il caso del Kosovo e quello della Crimea sono quantomeno paragonabili. Perché il diritto internazionale non prevede in nessun caso l'opzione della secessione; al massimo riconosce, sulla base del principio di effettività, la nascita di un nuovo stato indipendente a posteriori. Questo, purché non vi sia aiuto da parte di Stati terzi, che hanno l'obbligo di rispettare l'integrità dello Stato che subisce la secessione. Questo vale tanto per il Kosovo quanto per la Crimea, con la differenza che Mosca è intervenuta per difendere un milione e mezzo di russi che lì vivevano; gli Stati Uniti sospinti – si è detto – da un'esigenza di carattere «umanitario». Ma quando l'America ha scelto la Provincia autonoma serba del Kosovo e Metohija per creare la sua base strategica, si è avvalsa di quell'Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK), che fino a poco prima faceva parte persino della lista delle organizzazioni terroristiche redatta dagli Stati Uniti.

Giustificazioni
Come si sa, il bombardamento della Jugoslavia è avvenuto senza la necessaria autorizzazione delle Nazioni Unite, dopo le operazioni anti-terrorismo delle forze speciali serbe nel villaggio di Racak. Un'operazione largamente descritta come una strage di civili, sulla quale, però, l'esperto giuridico finlandese Helena Ranta sollevò qualche dubbio dieci anni più tardi. Scrisse infatti nella sua autobiografia che la relazione sui fatti nei Balcani era stata scritta sotto la pressione dell'allora capo della missione OSCE in Kosovo William Walker e del ministero degli Esteri della Finlandia: in realtà i corpi delle vittime erano di terroristi albanesi e non di civili. Sempre uomini, intendiamoci; ma su base giuridica la questione cambierebbe non poco.

Basi militari
Altro elemento confrontabile nelle due vicende, quello delle basi militari. Dopo l'entrata delle forze della Nato in Kosovo, gli Stati Uniti vi hanno posto la seconda più grande base in Europa, «Bondsteel», fondamentale per il controllo dell'area mediterranea e del mar Nero, nonché delle rotte in Medio Oriente, Nord Africa e nel Caucaso e il transito delle risorse energetiche dalla regione del Caspio e dell'Asia centrale. Il tutto, senza pagare nessun canone. Qualcosa di simile ha fatto Mosca, che però, per la sua base, paga 100 milioni di dollari all'anno, nonostante la sua flotta si trovi in Crimea, a Sebastopoli, già da 230 anni. Crimea che, lo ricordiamo, 50 anni fa era legittimamente russa.

La legge internazionale
Quando Obama ha dichiarato che la separazione della Crimea dall'Ucraina «violerebbe la legge internazionale e non rispetta la Costituzione del Paese», insomma, su un piano meramente formale ha detto la verità. Peccato che quelle stesse leggi non vengono invocate per precedenti occidentali come quello del Kosovo. Dove la giustificazione del massacro perpetrato da Milosevic, come si è visto, non può far scomparire il rovescio della medaglia e le tante contraddizioni di quell'intervento.