18 agosto 2025
Aggiornato 03:00
Dopo la sentenza dell'Alta Corte britannica

Brexit, e ora spunta un memorandum segreto che rivela quanto sarà difficile uscire dall'Ue

Questa Brexit proprio non s'ha da fare. Dopo la sentenza dell'Alta Corte britannica che rimette la decisione popolare nelle mani del Parlamento, un memo segreto svela altri problemi

Brexit.
Brexit. Foto: Shutterstock

LONDRA - La Brexit non s'ha da fare? Qualcuno sembra proprio pensarla così. Nonostante il popolo britannico, lo scorso 23 giugno, abbia innegabilmente votato per il divorzio da Bruxelles, gli ostacoli per l'attuazione del famoso «articolo 50» del Trattato di Lisbona sembrano moltiplicarsi. E' di qualche settimana fa la notizia che l'Alta Corte britannica ha deliberato la necessità, da parte del Parlamento, di esprimersi sulla Brexit. La democratica volontà popolare e la scelta dell'esecutivo di rispettarla, dunque, potrebbero non essere sufficienti. Una sentenza rispetto alla quale Theresa May ha presentato ricorso, ma le tempistiche sono ancora lunghe. E ora, spunta un memorandum segreto, ottenuto e pubblicato dal Times di Londra, che rivela i due grossi problemi che Downing Street starebbe affrontando per far partire il negoziato sull’uscita dall’Unione Europea.
 
Primo problema: la divisione nell'esecutivo
Primo: la profonda divisione all’interno dell’esecutivo. Da un lato ci sarebbero i tre cosiddetti «ministri per Brexit», quello degli esteri Boris Johnson, quello per la trattativa con Bruxelles David Davis e quello per il commercio estero Liam Fox, che premono per una «hard Brexit», cioè per una uscita totale dall’Europa, fuori dall’Unione Europea e fuori dal singolo mercato; dall'altra parte gli altri due ministri-chiave, quello del Tesoro Philip Hammond e quello del business Greg Clark, sostenitori di una «soft Brexit», con  la Gran Bretagna fuori dalla Ue ma dentro il singolo mercato.

Banche e aziende vogliono un'uscita soft
A favore di quest'ultima opzione vi sarebbero anche le banche della City e la Confindustria britannica, pronte a «puntare una pistola alla tempia del governo» – secondo il memorandum intitolato «Brexit update» e datato 7 novembre – quando la trattativa entrerà nel vivo.  Oltretutto, dopo avere scoperto che Theresa May ha di fatto promesso alla Nissan che manterrà l’accesso al singolo mercato per la sua grande fabbrica di Sunderland, o al massimo che sarà compensata per eventuali dazi da pagare per le esportazioni, società e imprese esigono lo stesso trattamento. E potrebbero volerci altri sei mesi, secondo quanto si legge nel memorandum, per risolvere le divisioni e decidere le priorità del Governo.

Secondo problema: l'impreparazione
Il secondo problema sarebbe la sostanziale impreparazione della squadra che da fine giugno è al lavoro per sviluppare un piano per l'attuazione della Brexit. I vari ministeri britannici, cioè, sarebbero impegnati nell’impresa di riesaminare 40 anni di legislazione uniformata alla Ue e ricollocarla nelle leggi del Regno, ma le difficoltà non mancano. Essi, in sostanza, non sarebbero in grado di affrontare il compito che è stato loro affidato. Il memorandum parla di «oltre 500 progetti, ben oltre la capacità dei funzionari governativi» e profetizza che bisognerà assumere almeno «30 mila esperti e specialisti» per portare avanti l’iniziativa. Un’impresa immane, che sta rallentando se non paralizzando ogni strategia della Brexit.
 
La sentenza dell'Alta Corte
Ma non è finita qui: perché altri due ostacoli si frapporrebbero, secondo il memorandum, all'uscita del Regno dall'Unione. Il primo sarebbe l’abitudine della premier May di «prendere decisioni da sola» senza preoccuparsi troppo dei dettagli, abitudine che costringerà i diplomatici e funzionari di carriera a intervenire su Downing street. Il secondo, di cui abbiamo già parlato, è la sentenza dell’Alta Corte che richiede un voto favorevole del Parlamento affinché il governo possa invocare l’articolo 50 del Trattato di Lisbona. L'appello del Governo sarà discusso a inizio dicembre, e il verdetto definitivo probabilmente non arriverà prima di gennaio. Di certo, se la decisione dell'Alta Corte sarà confermata, il voto del Parlamento farà probabilmente posticipare la deadline per l'inizio delle trattative, che il primo ministro May aveva immaginato entro la fine di marzo 2017.
 
Di nuovo allarmismo
Se il quadro fosse confermato, gli auspici non sarebbero dei migliori. Rimane però il fatto che gli allarmismi che avevano accompagnato l'avvicinarsi del voto, per ora, si sono rivelati un clamoroso errore di prospettiva. Nessuna Apocalisse finanziaria, per ora: la piazza di Londra tiene, mentre si è svalutata la sterlina nei confronti di euro e dollaro. Semmai, la Brexit ha dimostrato un'altra cosa: che per dare una spinta alle esportazioni non occorre svalutare il costo del lavoro (LEGGI ANCHE «Brexit, in GB cresce l'occupazione. Intanto qui da noi svalutano sempre e solo il lavoro»). Un modello da tenere in considerazione, prima di sventolare il rischio di novelle piaghe d'Egitto.