19 marzo 2024
Aggiornato 04:30
Oggi si vota del «Granite State»

Primarie in New Hampshire: ecco cosa c'è in gioco

Lo scenario è molto diverso, come lo sono i risultati dei sondaggi e le aspettative, in confronto alla settimana scorsa

NEW YORK - Dopo l'Iowa, il New Hampshire; dopo gli evangelici, gli indipendenti. Il passaggio dai caucus del primo febbraio alle primarie è stato denso di polemiche, scontri, accuse, che hanno coinvolto anche il più compassato campo democratico: segno che stiamo già vivendo un punto cruciale della campagna elettorale presidenziale statunitense. Lo scenario è molto diverso, come lo sono i risultati dei sondaggi e le aspettative, in confronto alla settimana scorsa.

Un voto importante
Il voto di oggi è un importante spartiacque per molti candidati alla Casa Bianca, nonostante la corsa sia appena cominciata: i singoli risultati spostano elettori e fondi e in quattro hanno ritirato la loro candidatura dopo l'Iowa (il democratico Martin O'Malley e i repubblicani Mike Huckabee, Rand Paul e Rick Santorum). In New Hampshire, le primarie sono aperte agli indipendenti, che rappresentano oltre il 40% dell'elettorato dello Stato. Questo rende particolarmente significativa la votazione nel 'Granite State', nonostante sia il quinto Stato più piccolo del Paese e il nono meno popolato, perché tende a premiare i candidati capaci di ottenere consensi al di là della base militante e di presentarsi come aspiranti credibili per la Casa Bianca.

Non rappresentativo
Non è, però, uno Stato rappresentativo del carattere multietnico della nazione: la popolazione del New Hampshire - stando all'ultima stima dell'Ufficio del censimento, del luglio 2014 - è 'bianca' al 94% (mentre quella complessiva degli Stati Uniti lo è al 77,4%); i latinoamericani, che a livello nazionale sono il 17,4%, sono appena il 3,3% e gli afroamericani, che rappresentano il 13,2% della popolazione nazionale, lì sono appena l'1,5 per cento. 

Democratici
Molto diversa la situazione che stanno vivendo i due partiti: quella democratica è ormai, ufficialmente, una corsa a due tra Hillary Clinton e Bernie Sanders, che il 4 febbraio si sono affrontati nel quinto dibattito democratico. Sanders ha bisogno di attirare consensi al di là della sinistra e sta cercando il sostegno degli indipendenti, che tendono a non votare per i candidati favoriti: nel 2000 e nel 2008, Bill Bradley e Barack Obama furono i più votati, ma alla fine le primarie democratiche del New Hampshire furono vinte da Al Gore e Hillary Clinton. Nonostante il parziale recupero di Clinton, Sanders è in testa ai sondaggi: nella media di Real Clear Politics, il senatore del Vermont ha 22,8 punti di vantaggio. Dopo il «pareggio virtuale» in Iowa, con cui «ha sorpreso il mondo», una netta vittoria in New Hampshire potrebbe dare un importante slancio alla sua candidatura, anche se, con l'ingresso di un forte elettorato afroamericano nei prossimi Stati al voto, il percorso di Sanders verso la nomination appare incerto. Il recente nervosismo mostrato dall'entourage di Clinton, dagli attacchi del marito Bill al senatore del Vermont ("ipocrita e disonesto") e ai suoi sostenitori («misogini») alle critiche di due icone democratiche femminili come Gloria Steinem e Madeleine Albright alle donne che non voteranno per Hillary, dimostra che Sanders è comunque un avversario che resterà a lungo in corsa, al contrario di quanto immaginato. 

Repubblicani
In campo repubblicano, i candidati sono ancora nove. Un paio, almeno, potrebbero salutare dopo il New Hampshire. John Kasich, il governatore (moderato) dell'Ohio con 'l'endorsement' del New York Times, si aspetta un risultato molto positivo per uscire dall'anonimato, confortato anche dai sondaggi, che lo mettono in lizza per il secondo posto. Se così non dovesse essere, sarebbe praticamente certa una sua uscita di scena, come ha ammesso lui stesso parlando con gli elettori del New Hampshire. Oltre all'invisibile Jim Gilmore, anche Carly Fiorina, l'unica donna e unico candidato escluso dal dibattito del 6 febbraio (oltre a Gilmore), è a rischio; il loro ritiro, comunque, non sposterebbe l'equilibrio in campo repubblicano.

Bush
Discorso a parte, invece, per l'ex governatore della Florida, Jeb Bush, che, nonostante i fondi e il sostegno di una buona parte del cosiddetto establishment repubblicano, non riesce a emergere: dopo il pessimo risultato in Iowa, un'altra sconfitta pesante potrebbe indurlo a lasciare il campo, con i suoi sostenitori già pronti ad appoggiare il volto fresco e rassicurante, per l'establishment repubblicano, di Marco Rubio, il suo ex delfino. Rubio, dopo aver beneficiato nei sondaggi dell'effetto Iowa, dove ha ottenuto un risultato al di là delle aspettative, è ora in lieve calo dopo l'ultimo dibattito, in cui per la prima volta è stato al centro degli attacchi degli avversari, non risultando convincente. L'impressione, comunque, è che presto saranno solo in tre a contendersi la nomination repubblicana: Donald Trump, Ted Cruz e Rubio.

Trump
Trump, dopo la sconfitta inattesa in Iowa, ha la necessità di rispondere già in New Hampshire. La media dei sondaggi di Real Clear Politics gli assegna ancora un vantaggio di 17 punti su Cruz e l'elaborata previsione di Five Thirty Eight, sito specializzato in statistiche creato da Nate Silver, lo accredita del 70% di possibilità di vittoria; Rubio ha il 42% di possibilità di chiudere le primarie del New Hampshire almeno al secondo posto, lasciando però spazio anche a previsioni non proprio ottimistiche: il più accreditato a togliergli la posizione alle spalle di Trump è Kasich. Se il governatore dell'Ohio dovesse arrivare secondo, potrebbe complicare le intenzioni di Rubio, desideroso di diventare il candidato 'mainstream' da opporre a Trump e all'ultraconservatore Cruz, quando le primarie si sposteranno a Sud. Kasich è sicuramente un candidato più moderato: potrà non essere in grado di conquistare la nomination, ma potrebbe togliere a Rubio i voti necessari a imporsi nei prossimi Stati.

(Con fonte Askanews)