28 settembre 2023
Aggiornato 03:30
Non facciamo il loro gioco

Da Parigi a Bamako. Come possiamo ancora salvarci dai terroristi

Siamo tutti sotto shock per quanto accaduto a Parigi. Ma dove eravamo quando, nel 2014, 16.800 attentati insanguinavano il mondo intero? Che il «vicino» ci colpisca di più è comprensibile, ma è necessario rimanere lucidi

PARIGI – A una settimana dai terribili attacchi che hanno messo in ginocchio la capitale della Francia, l’Europa intera è ancora sotto shock. Sin dalle prime ore successive alla tragedia, i social network si sono colorati di rosso, bianco e blu; la Marsigliese è risuonata in tante piazze, da ogni parte sono giunti messaggi di commozione e solidarietà alle famiglie delle vittime; in tutte le maggiori città del Continente l’allarme terrorismo ha subito un’impennata, e la psicosi ha cominciato a serpeggiare tra la popolazione. I falsi allarmi si sono drammaticamente moltiplicati, seminando ogni giorno un panico sempre più incontrollato. Contemporaneamente, i governi di tutta l’Unione (e non solo) hanno cominciato a discutere di strategie per aumentare la sicurezza dei propri cittadini, talvolta – come è avvenuto nella stessa Francia – anche a costo di sacrificare alcune delle loro libertà fondamentali.

L’orrore in casa «nostra»...
È dall’11 settembre 2001 che siamo tristemente avvezzi a sentir parlare di terrorismo. Nell’ultimo quindicennio, ci è stato raccontato di una guerra perpetua contro l’estremismo, una guerra in cui l’Occidente figurava in prima linea, come prima «vittima» e primo «nemico» del pensiero fondamentalista. In nome di questa guerra abbiamo bombardato l’Afghanistan e l’Iraq, rovesciato regimi, promulgato leggi fortemente limitative rispetto a libertà-cardine della nostra stessa civiltà. In nome di questa guerra, ci siamo chiesti se il problema fosse l’Islam, se in esso fosse insito un messaggio di odio e di intolleranza, e se «altro» fosse sinonimo di «nemico». Ci siamo assuefatti a tale stato di emergenza permanente; eppure, di fronte all’insopportabile orrore dello scorso venerdì, ci siamo resi conto di quanto sia difficile, forse disumano, abituarsi a tutto questo. Come se, dopo le Torri Gemelle, gli attentati di Londra, di Madrid, di Charlie Hebdo, ogni volta avessimo cercato di dimenticare, o almeno di esorcizzare la paura. Una paura che però tutte le volte è tornata, puntualmente, a tormentarci.

... e in quella d’«altri»
Eppure, nel lasso di tempo trascorso tra gli ultimi due attentati che hanno sconvolto l’Europa – quello di Charlie Hebdo e quello dello scorso venerdì – molti altri ne sono accaduti. A pochi giorni dagli attacchi a Parigi, un doppio attentato ha insanguinato la Nigeria. Il 17 novembre il gruppo fondamentalista islamico legato all’Isis Boko Haram ha colpito infatti una stazione per camion nella città di Yola, nel nord-est del Paese, causando la morte di almeno 32 persone e il ferimento di altre 80. Neanche un mese prima, Boko Haram aveva attaccato alcune moschee, tra cui una a Yola, uccidendo 42 persone e ferendone un centinaio. In sei anni di guerra, i fondamentalisti hanno ucciso almeno duemila persone, in gran parte civili. Il 31 ottobre, un airbus russo si è schiantato sul Sinai a causa di una bomba, provocando la morte di 224 persone. Il 10 ottobre, la Turchia è stata insanguinata dal più grave attentato della sua storia, avvenuto durante una marcia per la pace, che ha replicato la strage che il 20 luglio aveva colpito un centro culturale filocurdo di Suruç, al confine con la Siria.  Senza andare troppo indietro, proprio oggi un gruppo di jihadisti ha preso in ostaggio 170 persone in un hotel di Bamako, capitale del Mali, mentre in Iraq saltava in aria una moschea sciita a Baghdad, provocando almeno 10 morti. Dove eravamo, mentre accadeva tutto questo?

Dove eravamo?
Dove eravamo quando, nel 2014, 16.800 attentati insanguinavano il mondo, uccidendo 43.500 persone e provocando 40.900 feriti? 1400 attentati al mese, 46 al giorno, avvenuti prevalentemente in Iraq, Pakistan, Afghanistan, Ucraina e Somalia. Attentati spesso (ma non solo) perpetrati dall’Isis, dalle organizzazioni ad esso affiliate o riconducibili allo jihadismo, e che altrettanto spesso hanno preso di mira terre lontane, conosciute solo attraverso lo schermo della Tv guardato distrattamente all’ora di cena. Attentati che, nella gran parte dei casi, hanno colpito non cristiani, ma musulmani. I morti islamici per mano di islamisti, soltanto nel 2015, sono oltre ventitremila, 24.517 nel 2014 nei Paesi a maggioranza islamica: morti che passano e si perdono nel perpetuo flusso delle notizie che scorrono sui media occidentali.

Possiamo ancora salvarci
Intendiamoci: non vogliamo sminuire in alcun modo quanto è accaduto a Parigi. Nessuna attenuazione a quell’orrore, tantomeno alcuna giustificazione. Ammettiamo anche che è comprensibile che lo sgomento aumenti esponenzialmente quando fatti tanto tragici, a cui non siamo e non saremo mai avvezzi, irrompono nelle nostre case e in quelle dei nostri vicini, facendoci sentire vulnerabili come non mai. Certo, sarebbe più giusto piangere allo stesso modo per tutti i morti, vicini e lontani, e per tutte le stragi, che esse coinvolgano l’Europa o l’Africa, l’Occidente o l’Oriente. Eppure, la reazione amplificata davanti alle vittime parigine, che rompe mesi interi di assuefazione, seppur non condivisibile in linea di principio, è anch’essa «umana». Ma se anche non possiamo controllare le nostre paure e le nostre emozioni più istintive, dovremmo almeno cercare di acquisire una consapevolezza, e tenerci aggrappati ad essa:  che la minaccia terroristica non riguarda solo noi occidentali. Che questa non è una «guerra» riservata alla nostra cultura in particolare, ai nostri valori in particolare; che questa barbarie non contrappone due civiltà, due mondi lontani e inconciliabili. Che non stiamo vivendo una guerra di «religione», una crociata all’incontrario. Che il mondo non è diviso geograficamente in «bravi» e «cattivi». Che chi uccide in nome dell’Islam strumentalizza una religione per fini del tutto diversi. Che questo cancro riguarda il mondo intero, e noi rimaniamo comunque molto meno colpiti di altri. E che anche in questo orrore possiamo in qualche modo salvare la nostra umanità, evitando di cadere nel tranello dei terroristi. Ricordiamoci che da Parigi a Beirut, da Gerusalemme a Bamako, tutti stiamo piangendo le stesse lacrime.