8 maggio 2024
Aggiornato 16:00
Domenica ha trionfato la destra anti-Europa e anti-immigrazione

Perché le elezioni svizzere sono l’ennesima spina nel fianco dell'UE

Il voto che ha portato a trionfare la destra elvetica anti-immigrazione e anti-europeista è l’ennesimo segnale che Bruxelles non può ignorare. A maggior ragione perché la Svizzera mostra di essere stufa dell’Ue anche senza farne parte

BERNA – Le elezioni svizzere di domenica rischiano di causare non pochi contraccolpi su un’Unione europea già profondamente divisa e traballante. La virata a destra era ampiamente pronosticata da tutti i sondaggi, ed in effetti c’è stata: i risultati parlano di una vittoria storica per l’Unione Democratica di Centro (Udc), formazione che, nonostante il nome, negli ultimi tempi si è spostata su posizioni sempre meno moderate. C’è addirittura chi ha definito la figlia del leader storico del movimento nonché vittoriosamente candidata al Consiglio Nazionale nella lista del Cantone, Magdalena Martullo-Blocher, la «Marine Le Pen svizzera»: e il paragone non è inappropriato, se si pensa che, proprio come sta avvenendo in Francia, la Blocher è riuscita a conquistare simpatie e fiducia degli elettori attraverso un programma fortemente nazionalista, fortemente anti-europeo, e perfettamente riconoscibile.

Un segnale da non sottovalutare
Derubricare il risultato delle elezioni come semplicemente «xenofobo» risulterebbe semplicistico, e forse superficiale. Perché esattamente ciò che è già avvenuto in molti Stati membri dell’Ue (soprattutto nell’Est ma non solo), il voto svizzero è diventato l’espressione di una progressiva intolleranza alla «gabbia europea», oltre che di una sempre crescente preoccupazione per il fenomeno migratorio. Potrebbe risultare bizzarro il fatto che tali dinamiche, già viste (e previste) in Stati membri, orientino il voto anche della Svizzera, Paese che ha orgogliosamente e tenacemente scelto di rimanere fuori dall’Unione. Eppure, il risultato è più spiegabile di quanto si potrebbe pensare.

Nodo immigrazione, l’origine della «xenofobia»
Sul fronte dell’immigrazione, l’Udc ha saputo più degli altri partiti interpretare e cavalcare i timori dei cittadini elvetici per l’afflusso di immigrati in Europa dal Medio Oriente e dal bacino del Mediterraneo. Il partito si è anche fatto promotore di un referendum contro la nuova legge d’asilo, considerata troppo «disponibile» ad accogliere. La Confederazione svizzera, con soli 8 milioni di abitanti, riceve ogni anno 100mila domande d’asilo da parte di rifugiati: cifra considerata dai più insostenibile. Una xenofobia che, in Svizzera, ha radici più profonde di quanto si possa immaginare: in ultima istanza, è legata alla natura «federale» dello Stato, che, con la sua storica ripartizione tra Cantoni e un plurilinguismo connaturato, tenta di difendere orgogliosamente la propria già di per sé sfaccettata identità da contaminazioni esterne. Ma le motivazioni sono anche, se non principalmente, economiche: la forte preoccupazione è che gli stranieri possano «rubare il lavoro» agli svizzeri, in un’epoca in cui nemmeno la Confederazione elvetica è più in grado di garantire occupazione a tutti i suoi cittadini.

Un rapporto difficile con l’Europa
E proprio su questo punto il tema «immigrazione» sfiora l’altro argomento su cui si è giocata la battaglia elettorale: il rapporto con l’Unione europea. Perché per gli svizzeri gli «stranieri» non sono soltanto gli extracomunitari giunti da lontano, ma anche (e soprattutto) i cittadini dell’Unione europea. E sebbene gli immigrati in Svizzera siano sempre stati indispensabili allo sviluppo economico, già a partire dagli anni Sessanta iniziarono a formarsi i primi movimenti contro l’immigrazione, che denunciavano un supposto «Überfremdung», cioè, letteralmente, l’«inforestierimento» della popolazione. Con l’ondata migratoria del secondo dopoguerra, il governo tentò di frenare l’assunzione di manodopera proveniente dai Paesi europei, introducendo dapprima i contingenti per le imprese e poi quelli nazionali. Nonostante ciò nacquero partiti minori di destra che scesero in campo in difesa dell’identità nazionale. Proprio su questa linea storica, e raccogliendo quasi le medesime istanze di allora, l’Udc ha vinto oggi le elezioni, e, il 9 febbraio 2014, è uscita trionfante dal referendum che ha stabilito uno stop alla libera circolazione con l’Ue e rispolverato i contingenti. Tale referendum ha di fatto rimesso in discussione gli accordi bilaterali che hanno permesso alla Svizzera, pur non entrando a far parte dell’Ue, di esserne una delle maggiori partner commerciali. Quegli accordi, però, riguardano anche l’intesa Schengen per i controlli comuni alle frontiere e il sistema Dublino per l’asilo: punti, si sa, molto controversi, su cui gli svizzeri (e non solo) nutrono non pochi dubbi. Ciò su cui vale la pena riflettere, però, è che la limitazione della libera circolazione non apporterà sollievo all’economia svizzera: anzi, Credit Suisse ha calcolato che il Pil del Paese si contrarrà dello 0,3% nei prossimi 3 anni, mentre saranno perduti oltre 80 mila posti di lavoro. Il rischio, inoltre, è anche la libertà di circolazione delle merci e dei trasporti, dopo quella delle persone, possa essere messa in discussione, con gravi contraccolpi economici. Eppure, nonostante gli scenari negativi che l’esito referendario sembra poter aprire,  nel 2014 i solitamente pragmatici svizzeri hanno mostrato di preferire l’incertezza all’abbraccio dell’Unione europea: scelta significativa confermata nelle ultime elezioni.

Bruxelles: da opportunità a gabbia
La sensazione è che una grande mano agli anti-europeisti l’abbia data proprio Bruxelles, che ha opposto un netto rifiuto all’apertura di ogni trattativa sulla libera circolazione delle persone e ha di fatto imposto alla Confederazione la rinuncia al segreto bancario. Il fastidio per un’integrazione europea portata avanti senza il sostegno popolare ha fatto il resto: di, qui, il risultato di questi giorni. Che, però, deve essere considerato in una prospettiva più ampia: esso si unisce infatti ai tanti altri voti analoghi o simili (non necessariamente per schieramento politico) avvenuti in Europa negli ultimi tempi. E il segnale è forte, a maggior ragione perché proviene da un Paese che è stufo dell’Ue, anche senza farne parte.