G7, le minacce dell'Occidente e l'aplomb di Putin
Una cosa, del G7, è chiara: la linea dura con la Russia rimane. Ma l'«azzardo» dell'Europa finirà verosimilmente tutto sul conto del Vecchio Continente. Ecco perché ai toni aggressivi dei partner occidentali, Putin esibisce un invidiabile aplomb
MOSCA – Una cosa, dell’ultimo G7, la si è capita: l’Occidente non è disposto ad allentare la tensione con la Russia, almeno finché – ha detto Obama – durerà «l’aggressione all’Ucraina». Il problema, ha spiegato il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, è che «questo non è soltanto un gruppo che condivide interessi economici e politici, ma prima di tutto una comunità di valori». Valori da cui la Russia di Putin rimane per ora esclusa. La linea è chiara: per dirla alla Tusk, «se qualcuno vuole iniziare una discussione sul cambiamento del regime delle sanzioni, ciò avverrà soltanto nella direzione di rafforzarle».
Il tradimento dell’Europa
Dal canto suo, Vladimir Putin, dal Corriere della Sera, ha pacificamente confermato di essersi sentito «tradito dall’Europa come da un’amante». «Se lei ha certi rapporti con una donna senza assumersi degli impegni, allora non ha nessun diritto di chiedere alla sua partner di assumersi a sua volta impegni nei suoi confronti». L’impressione, cioè, è che sia «l’Europa a cercare di costruire con noi rapporti puramente su base materiale ed esclusivamente a proprio favore». Sotto accusa anche la «riluttanza (europea) a riconoscere la legittimità delle nostre azioni e a collaborare con le unioni di integrazione nello spazio post-sovietico. Mi riferisco [...]all’Unione economica euroasiatica. Perché quando si integrano i Paesi europei è considerato normale, ma se noi nello spazio post-sovietico facciamo lo stesso si cerca di interpretarlo come il desiderio della Russia di ricostruire una specie di impero?».
Un azzardo gravido di conseguenze
Limes definisce il comportamento dell’Europa un vero e proprio «azzardo», i cui costi rischiano di finire tutti sul conto del Vecchio Continente. Innanzitutto, perché ha portato al «pericoloso» avvicinamento tra Russia e Cina, firmatarie di un nuovo accordo sul gas che porterà, tra le altre cose, alla realizzazione del gasdotto Altai. In più, pare essersi innescata l’accelerazione del cosiddetto «mercato dei due forni», processo che farà venire sempre meno quella «dipendenza reciproca» tra Ue e Federazione Russa, offrendo a Mosca la possibilità di muoversi all’interno di un nuovo contesto euroasiatico dell’energia. Senza contare il fatto che i giacimenti che riforniranno il gasdotto Altai sono gli stessi dell’Europa: cosa che potrebbe comportare un impatto sui prezzi della materia prima. Inoltre, la rinuncia al South Stream non è stata priva di costi, visto che erano coinvolte tre società europee, tra cui Eni. Infine, c’è chi sostiene che i disordini di Fyorm, in Macedonia, possano ricondursi a un’opera di destabilizzazione nei confronti del governo in carica, favorevole al passaggio della pipeline attraverso Skopje.
La paura di rimanere con il «cerino in mano»
Insomma, Putin avrebbe più di una ragione per «sbandierare» la propria tranquillità. «La Russia non parla in tono conflittuale con nessuno e in queste questioni, come diceva Otto von Bismarck, 'non sono importanti i discorsi, ma il potenziale'», ha detto al Corriere a proposito di una possibile minaccia da Mosca. A differenza degli Usa, ha sostenuto, «La nostra politica non ha un carattere globale, offensivo o aggressivo». Una «tranquillità» che le potenze del G7 non sembrano in grado di opporgli a propria volta. Forse perché sono consapevoli – soprattutto da parte europea – che stanno seriamente rischiando di rimanere con «il cerino in mano».
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