18 aprile 2024
Aggiornato 13:30
In bilico tra Russia e Ucraina

A un anno dal referendum sull'autonomia del Donbass

Esattamente un anno fa, l'11 maggio 2014, si tennero nelle regioni del Donbass occupate dai separatisti i referendum sull'autonomia che costituirono il primo passo formale per il distacco da Kiev. In dodici mesi la situazione politica ed economica è profondamente cambiata e questo lembo del Sud-Est è diventato una realtà a se stante, in bilico tra Ucraina e Russia.

KIEV (askanews) - Esattamente un anno fa, l'11 maggio 2014, si tennero nelle regioni del Donbass occupate dai separatisti i referendum sull'autonomia che costituirono il primo passo formale per il distacco da Kiev. In dodici mesi la situazione politica ed economica è profondamente cambiata e questo lembo del Sud-Est è diventato una realtà a se stante, in bilico tra Ucraina e Russia.

Processo di pacificazione accidentato
Il processo di pacificazione fissato con gli accordi di Minsk procede a singhiozzo e il futuro della regione appare incerto. Nei referendum dello scorso anno secondo le cifre ufficiali dei poteri locali circa l'80% degli aventi diritto al voto si recò alle urne e il 90% si espresse per l'indipendenza. Non riconosciuti né dal governo ucraino né dalla Comunità internazionale, le consultazioni popolari tra Lugansk e Donetsk furono utilizzate dagli insorti filorussi per dare consistenza e legittimità ai proclami avvenuti nelle settimane precedenti.

Modello Crimea per il Donbass?
Il modello doveva essere quello della Crimea, che dopo il referendum del 16 marzo, fu annessa dalla Russia. Nel Donbass però l'11 maggio si votò solo per l'autonomia da Kiev, mentre i progetti iniziali di abbracciare subito Mosca furono rallentati dallo stesso Vladimir Putin, che fece abortire l'idea dell'annessione immediata come avvenuto per la penisola sul Mar Nero. Gli sforzi della Comunità internazionale per trovare una via d'uscita alla crisi nella regione sono fino ad ora in sostanza falliti e il congelamento momentaneo del conflitto rischia di diventare una sorta di soluzione permanente. La situazione nel Donbass è a dir poco incerta, sia dal punto di vista istituzionale che economico e sociale, oltre che in termini di status.

L'ex cuore industriale sull'orlo del collasso
Allo stato attuale un terzo del territorio del Donbass, quasi metà della popolazione e dell'economia non sono più controllati dal governo ucraino. Gli oblast di Lugansk e Donetsk, corrispondenti all'incirca a territori grandi come il Piemonte e la Lombardia, sono scenari di una guerra che ha fatto ufficialmente oltre 7.000 morti e più di un milione di profughi, ma le cifre dovranno essere corrette al rialzo. Le repubbliche popolari hanno una superficie di circa 18 mila kmq, che corrisponde più a meno a poco più del 30% di quella originaria dell'intera regione. Nelle zone filorusse abita circa il 45% della popolazione rimasta, meno di tre milioni, concentrati nei capoluoghi. Alcune città si sono letteralmente svuotate e se Gorlivka prima dell'inizio della guerra contava 276 mila abitanti, oggi ne ha 180 mila. A Debaltsevo, teatro dell'ultima offensiva prima della tregua di febbraio, sono rimasti circa 5 mila del più di 27 mila abitanti. L'economia del Donbass, basata sull'industria dell'acciaio e del carbone è di fatto bloccata, con riflessi non solo sulle zone occupate, ma sull'intero paese. Prima del conflitto il Donbass contribuiva per oltre il 20% alla produzione industriale nazionale, oggi la guerra ha paralizzato l'intero sistema. Rinat Akhmetov, l'oligarca più ricco del paese che del Donbass aveva fatto il suo regno, ha visto il suo impero prosciugarsi da 22 a 7 miliardi di dollari nel giro dell'ultimo anno.

I due presidenti
Se al tempo del referendum la guerra era già in corso, iniziata ad aprile 2014 con l'offensiva delle truppe di Kiev in quella che ancora oggi è denominata ufficialmente Ato (Operazione antiterrorismo), in un anno la situazione politica è progressivamente mutata. Al consolidamento militare dei territori occupati é seguito anche quello politico e dopo il via vai di leader nei mesi iniziali della rivolta si è assistito a una stabilizzazione. Nel novembre del 2014 si sono tenute le elezioni che hanno rafforzato la leadership dei due cosiddetti presidenti delle repubbliche popolari, Igor Plotnitsky a Lugansk e Alexander Zakharchenko a Donetsk. Sebbene anche in questo caso la tornata elettorale sia stata giudicata una farsa sia da Kiev che dalla Comunità internazionale, i due comandanti ribelli hanno acquisito una ulteriore legittimità e attraverso il sostegno trasversale della Russia puntano a diventare gli interlocutori per Kiev, dove sino ad ora il presidente Petro Poroshenko e il governo di Arseni Yatseniuk si sono rifiutati di allacciare il dialogo diretto. Nel processo di pacificazione fissato negli accordi di Minsk I (settembre 2014) e Minsk II (febbraio 2015), Plotnitsky e Zakharchenko hanno giocato un ruolo marginale, ma per una soluzione duratura è inevitabile che centro e periferia trovino canali di comunicazione privilegiata.

Le prospettive
La sorte delle repubbliche popolari di Lugansk e Donetsk dichiaratesi indipendenti un anno fa dipende non solo dalla complessità di fattori tra Kiev e il Donbass, ma anche dal quadro geopolitico internazionale. Attualmente sembra che tutti gli attori in campo si accontentino in qualche modo dello status quo e del congelamento della situazione, perseguendo come obbiettivo minimo quello di evitare che il conflitto riprenda su larga scala. Nonostante la recente intensificazione degli scontri in alcuni settori lungo la linea del fronte, nei pressi di Donetsk e a Mariupol, gli analisti ritengono che i focolai rimangano limitati e sotto controllo. Se gli accordi di Minsk sono stati soddisfatti solo in parte da entrambi gli schieramenti e il dialogo previsto non è in realtà nemmeno iniziato, nessuno sembra essere in grado ed avere interesse a una nuova grande offensiva. Alle minacce di nuovi attacchi dei separatisti risponde Kiev con il decentramento che rimane nel cassetto. Lo stallo interno tra potere centrale e oblast ribelli è inserito nella difficile cornice internazionale: da un lato la Russia non pare intenzionata né a pigiare l'acceleratore sul modello della Crimea, né a lasciare gli indipendentisti nel Donbass per la loro strada, e dall'altro Stati Uniti ed Unione Europea rimangono schierati con Kiev senza abbassare la guardia. In sostanza la prospettiva è quella che il Donbass filorusso diventi come la Transnistria, un altro lembo conteso dell'ex unione sovietica che dopo la mini-guerra all'inizio degli anni novanta è rimasta un buco nero nel cuore dell'Europa.